TUTTA COLPA DELLA BORGHESIA? (con una risposta di Michele Serra e una replica)

di giovanni vetritto

Si resta non so se più spiazzati, irritati o stanchi leggendo e rileggendo “L’Amaca” di Michele Serra del 20 aprile scorso, in merito alla quale si sta sviluppando un dibattito piccolo ma rivelatore.

La tesi, in breve, è che il bullismo di alunni e genitori contro maestri, professori e, indefinitiva, contro l’istituzione stessa, si manifesti nelle scuole superiori tecniche, perché sono frequentate dai figli del popolo, lasciati impreparati culturalmente ma, più in generale, educativamente, dalla scuola programmaticamente classista della borghesia; classe che invece continua a frequentare i licei, forte della sua supremazia di classe.

I poveri restano poveri, insomma, e in più maleducati e bulli, mentre la Borghesia (con la maiuscola, l’antico Moloch di cui una certa sinistra non riesce a liberarsi) si gode i suoi privilegi di classe.

Detta in questi termini la cosa suscita sinceramente anche un po’ di irritazione e dà l’idea che Serra si sia perso almeno una trentina d’anni di mutazioni sociali e di costume; lui assieme a tutti i reduci della “massa” in cui proprio Serra rivendicava l’abitudine di volersi integrare elettoralmente (in un’altra memorabile Amaca dedicata a Civati, colpevole ai suoi occhi di essere eretico, dotato di due sole narici e, forse, sotto sotto pure un po’ borghese).

Intendiamoci. Alcune delle cose che Serra dice sono inconfutabili. La scuola italiana non riesce a fungere da ascensore sociale, assicurando, statisticamente, in media successo lavorativo e ascesa di reddito e status a chi la frequenta; e questo dato lo conferma l’OCSE con dovizia di numeri. Nell’età della rivoluzione tecnologica l’imprenditoria italiana continua a chiedere braccia poco raffinate, non certo cervelli, drogata in questo da una scriteriata deregolamentazione del mercato del lavoro e dalle mille defiscalizzazioni dei più diversi contratti di precariato. L’istruzione professionale, un tempo vero vanto della scuola italiana, sostegno decisivo all’industrializzazione del Paese e al “miracolo economico” degli anni ’60, è in stato di premorte, e dunque non attrae di certo l’élite della popolazione scolastica italiana.

Detto questo, però, il giudizio su queste evidenze resta tutto da formulare; e, comunque, parallelamente sono successe molte cose che hanno letteralmente sfigurato il bozzetto che Serra propone; cose sulle quali, viceversa, il nostro sorvola totalmente.

Intanto, chi ha votato contro la scuola media unica, inseguendo una ridicola idea di liceizzazione dell’istruzione tecnica, ai tempi del primo centrosinistra degli anni ’60? Non fu esattamente quella scelta dell’allora PCI a porre le premesse del successivo abbandono di quel segmento di istruzione? Chi ha teorizzato, con una sorta di donmilanismo d’accatto, la distruzione sistematica di qualunque logica selettiva e premiale nella scuola? Arrivando, con la Ministra Fedeli, ad estendere a ogni grado di istruzione una sorta di “promozione presunta per legge”, concretizzazione del sogno sessantottardo del “6 politico”? Chi ha combattuto il nozionismo fino a costruire la scuola del nulla nella quale si perdono oggi i nostri figli?

Ma soprattutto, che scuole conosce Michele Serra?

Sa, il nostro, che i figli di quelli che hanno frequentato il liceo (e che a loro volta lo frequentano)  sono quelli le cui prospettive di vita si sono maggiormente deteriorate? Per fare un solo esempio a mo’ di bozzetto, sa, il Serra, che il figlio dell’onesto funzionario statale oggi non ha pressoché alcuna prospettiva di seguire le orme del padre, che con quell’impiego si pagava le rate del muto della casa e della macchina, portava la famiglia in vacanza una volta all’anno e perpetuava per i figli il medesimo sapere borghese? Che questo figlio oggi lavora probabilmente sottopagato in una delle troppe “aziende di Stato” (Formez, Invitalia, eccetera eccetera) che danno manodopera a basso costo (verrebbe da coniare il sostantivo “mentedopera”) a Ministeri che hanno il turnover del personale bloccato da decenni?

Sa, il Serra, che funzionari pubblici, giornalisti, insegnanti di ogni ordine e grado, tecnostruttura studiosa delle grandi organizzazioni pubbliche e private, e ormai perfino professioni liberali e nuove professioni dell’innovazione sono state ormai quasi proletarizzate?

Possibile che non sappia, il Serra, che in certi quartieri “borghesi” di Roma, quando viene meno il vecchio capofamiglia, l’odiato figlio “borghese” magari ex liceale e poi laureato, deve vendere la casa paterna, perché non ha uno stipendio che gli consenta di mantenerla?

Possibile che non sappia, il Serra, che alcuni dei quartieri nei quali le case sono più costose sono abitati ormai quasi solo da attori, cantanti, stelline della TV, macellai, intermediari equivoci, arricchiti di tutti i tipi, ma non da borghesi per estrazione, cultura, abitudini, impieghi? Possibile che non sappia che i nuovi padroni di quelle case hanno sbaraccato le vecchie scaffalature (destinate dai precedenti proprietari ad ospitare le centinaia di libri che erano il “vantaggio competitivo” dei propri figli nella società borghese) per sostituirle con un gigantesco schermo al plasma simil-cinematografico?

Ha parlato, il Serra, con le maestre elementari delle scuole pubbliche di questi quartieri ricchi? Sa cosa passano per colpa dell’arroganza e dell’aggressività di questa nuova classe di arricchiti senza memoria?

Insomma, possibile che il Serra non si sia accorto che, mentre lui ruminava il suo astio antiborghese postsessantottino, la borghesia veniva sterminata da una società acriticamente lassista e programmaticamente, come lui sognava, antiborghese?

Possibile che in un certo milieu sopravvissuto alle macerie del Muro nemmeno un uomo di cultura e spirito come lui sia riuscito ad accorgersi del divorzio tra soldi e cultura? Della ostentata, antiborghese, plebea celebrazione dell’ignoranza dei nuovi ricchi? Del loro fastidio per qualunque straccio di rimasuglio di quella cultura borghese che lui ha dedicato la sua vita ad odiare? Non vede quanto poco borghesi siano il rampantismo e il calvinismo che trionfano in una società appiattita, paternalista, lassista, antimeritocratica e ignorante, per tanti versi personificazione esattamente di tante delle parole d’ordine della sua sinistra del tempo che fu? Riesce a non vedere, il Serra, che nella estremizzata polarizzazione dei redditi e dei patrimoni creatasi negli ultimi quarant’anni, a perdere più posizioni è stata proprio la media borghesia, sostanza e sostegno dei valori democratici, a vantaggio di un nuovo ceto dominante inattaccabile come quello dell’ancien regime?

E se di tutto questo ha anche solo una minima cognizione, di grazia, di quale borghesia vaneggia nella sua Amaca antiborghese il Serra? Quale popolo buono, rousseauvianamente puro e incontaminato, schiavo della borghesia e di cattivi valori che gli residuano da una posizione di svantaggio sociale, riesce a intravedere? Mentre, tutto all’opposto, per chiunque abbia occhi è proprio la maleducazione, il culto dell’ignoranza, il più plebeo disinteresse per valori e regole di vita, per libri e cultura, la cifra esistenziale e stilistica della nuova classe del dominio, convintamente e marxianamente antiborghese, a scuola e fuori (rileggiamolo il barbuto di Treviri: “la riproduzione del sottoproletariato alla sommità della società borghese”, denunciava nei sui scritti sul 1848 francese)?

Lasci in pace il cadavere della vecchia e rimpianta borghesia, il Serra, e magari contribuisca alla rilettura dei mille errori che ha commesso la sua parte culturale e politica, mentre gli eredi dell’azionismo dal rafforzamento dell’istruzione obbligatoria del ’62 in poi, cercavano di salvare il salvabile della pietra angolare della loro società aperta e dinamica: quella scuola oggi abbandonata alle pseudoculture imperanti, incapaci di autocritica.

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“Gentile Vetritto, sono “il Serra”, come da Sua definizione. Lei ha scritto un lungo e interessante trattato sulla condizione della scuola e della società italiana negli ultimi cinquant’anni. Io poche righe, nelle quali certo era impossibile argomentare sull’intero scibile, come Lei ha fatto su Critica liberale. Mi diverte molto essere accusato di essere un borghese privilegiato che detesta il popolo dai miei numerosi osteggiatori “di sinistra”. E da Lei di essere uno che non ha capito la borghesia e il Parito d’Azione (si sa, i comunisti). Non pretendo che Lei mi legga, ma è da circa quarant’anni che, da quel borghese che sono, mi illudo che le élites culturali e il cosiddetto Popolo possano stringere un’alleanza virtuosa. E’ quanto accadeva, con i limiti del caso, nel Pci nel quale ho militato in gioventù, ammirando la capacità dei dirigenti (tutti o quasi colti e con le case zeppe di libri) di avere un forte contatto con la base di milioni di operai, insegnanti, contadini, impiegati statali.
In ogni modo la ringrazio per avermi fornito una  nuova angolatura dalla quale criticare me stesso.
Cordialità
 
Michele il Serra
 
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Gentilissimo “il Serra”, sono sinceramente contento che Lei abbia trovato il tempo per rispondere nel merito e con un tono cortese. È stato anche troppo gentile a definire “trattato” le mie poche considerazioni sulla borghesia e sull’azionismo, dato anche che sulle nostre colonne ne scriviamo da anni in modo anche più approfondito; questi temi, concorderà, stanno alla radice della crisi della sinistra e della sua mancata evoluzione culturale dopo il crollo del Muro. Quanto al rapporto degli azionisti come me con i comunisti, beh… purtroppo le allergie croniche sono difficili da curare… specie quelle contratte in Spagna negli anni ’30, quando gli stalinisti trucidavano democratici e salveminiani antifascisti…

Grazie ancora da un Suo lettore (non la sorprenderà).

Giovanni Vetritto

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