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Il caso Renzi-Riad: sottomettersi o dimettersi (con una nota di e.ma.)

[Critica liberale considera che lo scandalo Renzi-Arabia saudita, di inaudita gravità, avrebbe dovuto trovare una conclusione subito dopo la denuncia del caso. Il parlamento è rimasto aperto anche durante le dimissioni di Conte e sarebbe stato doveroso da parte della Presidenza del Senato avviare un chiarimento nell’aula di Palazzo Madama. Ciò non è avvenuto. Dopo il voto di fiducia al Governo Draghi, non si può perdere altro tempo e soprattutto il caso non può essere giudicato concluso in seguito a qualche dichiarazione stampa, ma deve essere discusso in sede parlamentare perché coinvolge in maniera assai grave un senatore della Repubblica.  Magari avessimo, sul centro-sinistra o  sulla sinistra, un partito che facesse politica, e sarebbe il massimo che la facesse in modo rigoroso!!!!!  e.ma.]

di luigi ferrajoli & gian giacomo migone

Che la crisi di governo, in questo momento  storico e nelle evoluzioni a dir poco ambigue di queste ore, costituisse un attentato alla salute pubblica con ogni probabilità era chiaro persino a colui che l’ha provocata. Configurando anche un vulnus della democrazia italiana, dopo quanto egli ha detto e fatto a Riad.
E che sta lentamente diventando consapevolezza collettiva, malgrado il diffuso silenzio mediatico.
Non si tratta soltanto di sfacciato conflitto d’interesse su
scala internazionale da parte del capo di un partito politico
decisivo ai fini della sopravvivenza della maggioranza esistente. Sarebbe ipocrita asserire che non siano esistiti e
che non esistano casi analoghi nel nostro parlamento.
L’elemento di novità consiste, però, nella pubblica
ostentazione, tale da creare un precedente se non adeguatamente stigmatizzata, della propria adesione, in quanto parlamentare dello Stato italiano, ad un costituendo istituto con finalità di affari, pro- mosso e finanziato da un altro Stato (il «Future Financial Initiative», promosso dall’Arabia Saudita).

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NON COMPRERÒ PIÙ “LA REPUBBLICA”

di gian giacomo migone
 
Caro Direttore,
ho letto il suo editoriale (11 ottobre). Anche io sono tra coloro che si sono indignati per le parole del vice presidente del consiglio Di Maio che ha augurato al suo giornale di non più esistere. Chiunque possegga una coscienza democratica anche minima deve battersi per la vita di qualsiasi forma di comunicazione di opinioni e di notizie, anche le più lontane dalle proprie convinzioni. Figurarsi di una testata che considero parte del patrimonio democratico del nostro paese. 
Nel mio piccolo ho anche aderito all’ondata di solidarietà che, come lei  ha scritto, ha investito il suo giornale. Tuttavia, l’ho fatto in un modo che forse le dispiacerà,  ma che considero un dovere comunicare e motivare, per lealtà di rapporti tra noi e con intento sempre costruttivo. Infatti, ho deciso di recedere dal proposito, che stavo maturando, di non più comprare “La Repubblica” e di continuare, invece, a versare il mio obolo quotidiano per acquistarla.
Ne spiego le ragioni,
 

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