Archivi tag: renzismo

DIMESSE, SILENTI E SOTTOMESSE AL “CAPO”

di Nicoletta Agostino

Dimesse, sì. Nel senso di silenti, subalterne e sottomesse al capo. Zittite, con gli occhi bassi per quasi tutta la conferenza stampa a prendere appunti, per poi tacere. Renzi racconta del loro curriculum, di quello che hanno fatto in precedenza e durante il governo, di chi sono e di chi a breve non saranno più. Poi comunica le loro dimissioni. Lo fa lui al posto loro, spiegando bene cosa intendeva dire con quel “ritiro le mie ministre”.
La cosa che lascia sbigottiti è che una delle due donne dentro quel quadro fosse casualmente anche la ministra per le Pari Opportunità. Cioè quel ministero che tra le altre cose lavora per l’empowerment femminile, per l’autodeterminazione e l’accrescimento del valore individuale di persone e di donne, per l’autoefficacia. Possibile non abbia chiarito al suo capo che quello non era un reality e lui un conduttore televisivo lì per presentare due concorrenti e decretare la fine della loro partecipazione ai giochi? Possibile che non gli abbia spiegato che la comunicazione delle sue, delle loro dimissioni avrebbero dovuto farla loro, già che avevano una telecamera e un microfono accesi davanti alla bocca? Dovuto, sì. Perché non si sarebbe trattato di galanteria o concessione, da parte di Renzi, mettersi di lato, ma di rispetto per due rappresentanti delle istituzioni e in quel momento, ancora, del governo. E invece l’immagine plastica della conferenza stampa ha raccontato bene, stasera, qualora ce ne fosse ancora bisogno, chi c’era al centro della scena e per chi era stato allestito quel teatrino.

Dimesse, sì. Nel senso più degradante, per una donna. In politica e non solo.

[OLnews 13-1-2021]

TRE NOTIZIOLE

Giornate da segnare sul calendario. Tre notizie.

La prima è la sentenza della Corte costituzionale che smantella la legge regionale della Lombardia del 2015 a guida leghista in materia di localizzazione dei luoghi di culto, perché il provvedimento limitava irragionevolmente la libertà religiosa, che «garantita dall’articolo 19 della Costituzione comprende anche la libertà di culto e, con essa, il diritto di disporre di spazi adeguati per poterla concretamente esercitare». «Le norme censurate finivano così per determinare – sottolinea la Corte – una forte compressione della libertà religiosa senza che a ciò corrispondesse alcun reale interesse di buon governo del territorio». Al grave passo indietro nel campo della libertà religiosa compiuto dall’amministrazione leghista la Corte costituzionale ha risposto con la conferma che il nostro stato non è talebano e clericale. E ovviamente non è mancata immediatamente la replica del capo dei talebani nostrani, Salvini, che ha colto l’occasione per confermare tutto il suo pensiero autoritario e per dare un’ulteriore prova che quando parla non sa neppure di cosa si tratti. Salvini: «Reciprocità [Ma tra quali soggetti? E su che materia?] e rispetto delle nostre leggi e regole [in verità la Consulta non ha chiesto che questo, appunto, il rispetto delle nostre norme violate dai suoi lombardi] per aprire moschee e altri luoghi di culto, chiediamo troppo?» [E infine l’infamia di un attacco diretto alla Corte costituzionale…] «Non si sente certo il bisogno di un’altra Consulta islamica…». Noi avremmo bisogno di meno clericalismo becero. Vogliamo tornare a prima del 1870?

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“DIVERSAMENTE RENZIANO”

“L’Italia non funziona anche per colpa dei No al referendum” : così Zingaretti , mostrando  tutta la sua approssimazione, coglie almeno  3 risultati:

1. Intestare a se stesso neosegretario del Pd la pesante sconfitta del referendum del 4 dicembre 2016 che segnò la fine politica di Renzi;

2. Offendere, non rispettandolo e mostrando di non aver compreso la lezione, i milioni di donne e uomini, moltissimi di centro sinistra, che a stragrande maggioranza hanno irreversibilmente bocciato con il No la strampalata e poco democratica riforma Renzi/Boschi;

3 .Allontanare dal suo partito che sbandiera il verbo “includere” e la parola “plurale” moltissime persone anche ben disposte, molte delle quali lo hanno votato alle recenti primarie. Complimenti !

IL DINOSAURO DIXIT

I politologi si stanno rompendo la testa per trovare le più raffinate motivazioni della catastrofe politica del Pd. Di cui si sono accorti solo la domenica del 4 marzo. Eppure ce le hanno avute  sempre davanti agli occhi: il Pd renziano non è stato che idiozia allo stato puro ricoperta da impudica sfacciataggine. Come se il cervello dei cittadini avesse un’intelligenza inferiore a quella del dirigente medio o alto del “Giglio magico”. Cosa quasi impossibile. Al punto che, dopo la legnata storica, la mente del renziano-tipo, già molto intontita, ancora non riesce a dare segni di vita.

La vicenda della nomina dei presidenti delle due Camere ne è un altro segnale inquietante. Issare sull’Aventino la bandiera bianca è stato un grave errore, ma in politica , soprattutto nel Nazareno, di errori se ne fanno tanti, e dato il livello della sua classe dirigente è persino ovvio. Ma in questo caso ci troviamo di fronte a qualcosa di più di un semplice errore:  presentare come candidata, appunto di bandiera, il nome della “più peggiore” ministra della pubblica istruzione è pervicace autolesionismo. E proprio nel giorno in cui la Cgil dava i dati sulla scuola italiana: 4 punti di spesa pubblica in meno sulla media Ocse e collocazione al 19 (diciannovesimo) posto in Europa per le risorse dedicate.

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OPINIONS LEADER DA BRIVIDO (ECCO PERCHE’ IL PAESE E’ MARCIO)

di franco pelella

Il politologo Mauro Calise ha dedicato un articolo alla situazione politica che si è determinata dopo le elezioni  proponendo un’alleanza tra Pd e Forza Italia. Ecco quello che ha scritto: “…L’unico modo per ribaltare la situazione di inferiorità in cui si trovano, consisterebbe nell’allearsi. Si, avete letto bene. Un’alleanza elettorale tra democratici e forzitalioti. Prima di mettervi a urlare che sarebbe la autodistruzione di entrambi, seguiamo il ragionamento. Non sto dicendo che si farà davvero. Anche perché, se mai si arrivasse a una simile prospettiva, sarà un vero colpo di teatro. E accadrà solo dopo un lungo stillicidio di tentativi alternativi. Sto solo molto prosaicamente – numericamente se preferite – facendo notare che sarebbe la sola mossa che potrebbe dare scacco matto sia a Di Maio che a Salvini. Quanti collegi al Nord la Lega perderebbe senza l’apporto di Forza Italia? E quanti al Sud ne perderebbero i Cinquestelle se i due avversari sommassero i consensi?…” (Un patto per fermare la crisi; Il Mattino, 15/3/2018).

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LE CATASTROFICHE BATTAGLIE PERSE DI RENZI

di franco pelella

Michele Serra ha ricordato mercoledì scorso, su “La Repubblica”, le date maggiormente simboliche della crisi del Pd e della leadership di Renzi. La prima data è il 23 novembre 2014, quando alle elezioni regionali dell’Emilia Romagna si dimezzò il numero dei votanti arrivando al 37 per cento. La seconda data è il primo giugno 2017, quando Antonio Campo Dall’Orto si dimise da direttore generale della Rai, impallinato dai cacicchi dei partiti (Pd compreso); quelle dimissioni costituirono la fine del sogno di autonomia del servizio pubblico e, quindi, la fine di uno dei cardini del renzismo. La terza data è il 19 giugno 2015, quando Fabrizio barca presentò il rapporto sullo stato del Pd romano. Michele Serra, però, ha dimenticato una quarta data, forse più importante delle altre. Si tratta del 15 novembre 2016, quando Vincenzo De Luca, in vista del referendum sulla riforma costituzionale, radunò presso l’Hotel Ramada di Napoli 300 sindaci campani del Pd. In quell’occasione il Governatore della Campania fece il famoso discorso della “frittura di pesce”. In pratica De Luca invitò i sindaci a portare al voto favorevole alla riforma costituzionale il maggior numero di persone possibile utilizzando qualsiasi mezzo o promessa, compresa una frittura di pesce. In quell’occasione divenne chiaro a tutta l’opinione pubblica nazionale che Renzi, in barba alla promessa di rottamazione, aveva stretto un’alleanza con il rappresentante più retrivo del vecchio notabilato meridionale.

 

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