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DUGIN, UN NEMICO DEL LIBERALISMO

di ettore maggi

appendice
SULL’UNITÀ STORICA DI RUSSI    E UCRAINI
Vladimir Putin

La Fondazione Critica liberale ha inaugurato una nuova collana di pubblicazioni, “Le frecce”, piccoli volumi di cultura politica e di attualità, che sono offerti gratuitamente in PDF ai lettori, e anche stampati. Costituiscono un’ideale prosecuzione dei “Quaderni di Critica”, rintracciabili su questo sito. 

scarica qui le frecce di critica liberale 
Dugin, un nemico del liberalismo
Quaderno Gobettiano 1

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NON CI SONO PIÙ I RIVOLUZIONARI DI UNA VOLTA…

I capi di Forza Nuova, i neo-nazisti che hanno devastato la sede della CGIL e che hanno preso a vangate i giornalisti, davanti al Gip di Roma non hanno arretrato di una virgola e avvolti nelle bandiere con la svastica hanno fieramente rivendicato i loro ideali rivoluzionari: «Veramente io stavo passeggiando con la fidanzata a villa Borghese», «io invece c’ero, ma per fare foto», «Forza Nuova fa comunicati di guerra ma solo per non perder l’abitudine, è chiusa da venti mesi», «io c’ero, ma dormivo», «io sono il capo di “Io apro” e volevo solo che anche la CGIL aprisse la sede», «io avevo un piede dentro e un piede fuori», «ma io sono socialdemocratico», «slogan antisemiti io? Ma se ho sempre amato i negri…», «sì, avevo la maglietta con la svastica, ma sono liberale come la Meloni», «”riprenderci Roma”? ma che avete capito? noi intendevamo “la” Roma, la squadra di calcio», «per favore, lasciatemi uscire, altrimenti chi glielo dice a mamma?».

IDIOTA O PRENDE PER I FONDELLI?

Meloni: «Non so quale fosse la matrice di questa manifestazione ieri, sarà fascista, non sarà fascista… non è questo il punto». Una “ignorante” come Meloni, è angosciata dai dubbi. Sa di non sapere. Saranno fascisti? «Non so». Come il grande Saggio, risponde «Chi lo sa?».

Noi abbiamo la risposta: i “marci” che hanno assalito la CGIL, sono adoratori della svastica, rimasti pervicacemente al neolitico. Il loro simbolo solare è il segno base di qualificazione del Bon prebuddhistico: quindi sono dei non-violenti che hanno voluto dimostrare il loro amore per la centrale sindacale. Bisogna custodirli con cura perché sono residui di un’èra preistorica precedente di poco a quella della sfacciata e grezza ipocrisia della capa di Fratelli-Coltelli di Italia. La quale ha messo in lista tale Rachele Mussolini per raccogliere i voti dei fascisti, ma forse no. Di migliaia accaniti antifascisti? Forse sì. Chi lo può dire? Ma «non è questo il punto», è il punto e virgola.

 

FRASI STORICHE

1. «Il 6 gennaio 2021 sta al sovranismo come il 9 novembre 1989 – giorno della caduta del muro di Berlino- sta al comunismo. Parole d’ordine, obiettivi e metodi dovranno cambiare. Pena la fine di un progetto politico, che non è accettabile sia complice di estremisti violenti, tantomeno golpisti. La destra, anche quella italiana, batta un colpo. Nonostante Conte e Zingaretti, non vorremmo mai ritrovarci con il Parlamento occupato da matti in camicia nero-verde. Un’altra destra è possibile, e noi ci crediamo». Così scrisse oggi Alessandro Sallusti, Direttore del Giornale di Berlusconi. Dimenticando che sono quasi trenta anni che il suo Padrone sta con le camicie nere e con gli elmi cornuti. Ma noi siamo fiduciosi, e quindi aspettiamo che Forza Italia faccia come tutti quelli che dopo la caduta del Muro spezzarono ogni legame con i comunisti, e quindi da domani rompa ogni alleanza nei Comuni, nelle Regioni e nelle coalizioni elettorali con i fascisti e con i leghisti ladroni…

2. «Insieme al (sic!) Presidente Fontana e alla Giunta abbiamo messo in campo tutte le azioni necessarie per arginare la pandemia. Nessuno ci aveva consegnato un libretto delle istruzioni». Così dichiarò Giulio Gallera, il giorno in cui fu cacciato dall’Assessorato alla Sanità della Regione Lombardia dopo tutti i disastri combinati e dopo le sue dichiarazioni surreali. Però ha ragione lui, in effetti nessuno gli consegnò un qualche abbecedario, che gli sarebbe servito per poter leggere finalmente il testo della Riforma della sanità pubblica del 1978, qualche decennio prima.

3. «Le mie offese non sono gratuite: mi pagano per scriverle». Così vergò Filippo Facci su “Libero” in una polemica furibonda con Rocco Casalino, che passerà alla storia. Il giornalista, negazionista “senza mascherina”, getta alle ortiche anche quest’altra maschera e rivela ai giovani giornalisti e ai lettori in che consiste il lavoro per cui viene pagato.

la lepre marzolina – venerdì 8 gennaio 2021

SE SALVINI DIVENTASSE LIBERALE

[nella foto: una manifestazione fascio-leghista a favore di Salvini]

Il Capitano si dice pronto per “una rivoluzione liberale”. Allora dovrebbe cambiare idea su migranti, giustizia, sovranismo, populismo, diritti, omofobia e via dicendo. Tenendo a mente che un’agenda davvero liberale non porta voti.

di ugo magri

Spericolato e coraggioso Salvini, che senza “brain trust” o “think tank” alle spalle ma con l’aiuto del solo Marcello Pera annuncia una “rivoluzione liberale” mai vista in Italia: idea ciclopica buttata lì nel mezzo di un’intervista al “Corriere“ dove non si chiarisce il come e il quando, né viene approfondita la portata storica del progetto. Detta così, sembra la classica “supercazzola” sparata per fare un po’ di rumore e distogliere l’attenzione dalle Regionali andate storte, insomma un’arma di distrazione politica. Però è vero che le grandi conversioni ideologiche maturano un passo alla volta. Diamo dunque a Salvini il tempo necessario per passare dal populismo al liberalismo, partendo da Perón per approdare a Pera. E intanto che lui evolve, proviamo a immaginare che cosa farà il Capitano quando sarà diventato liberale al cento per cento.

Quel giorno la smetterà di dare addosso ai migranti. Si accorgerà che siamo tutti cittadini del mondo. Nell’ottica liberale “diverso” è bello, il mix delle culture una miniera di opportunità; l’immigrazione va controllata – si capisce – ma senza eccitare l’astio, senza proclamare “prima gli italiani” come ai tempi di “Faccetta nera”, senza trattenere i naufraghi a bordo delle navi. In Italia, annuncerà Salvini una volta diventato liberale, c’è posto per chiunque rispetti le leggi e abbia voglia di dare una mano. Difenderà i diritti umani ovunque vengano calpestati, prenderà di mira i regimi totalitari senza trascurare la Russia dove agli oppositori di Putin succedono cose strane. Nel nome delle “libertà liberali” Salvini diventerà un garantista vero. Mai più twitterà che è giusto sparare ai ladri dal balcone di casa, che questo delinquente deve “marcire in galera” e quell’altro andrebbe chimicamente castrato. La giustizia non è un Far West dove il ladro di cavalli viene appeso al ramo: ci sono pene severe bilanciate dalla speranza di redenzione. Forse Salvini non arriverà mai, come Marco Pannella, a battersi per carcerati, prostitute, spinelli liberi e trans. Però una volta completata la sua evoluzione liberale e forse anche libertaria contrasterà le pulsioni omofobe della Lega. Nel nome della “libera Chiesa in libero Stato” già sognata dal conte di Cavour, rinuncerà a esibire rosari nei comizi nonché a flirtare con i circoli più retrivi di Santa Romana Chiesa.

Fedele al vecchio adagio “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”, Matteo se ne andrà schifato dal gruppo sovranista europeo, frequentato da nazionalisti xenofobi come Alternative Für Deutschland, e pazienza se darà un dispiacere all’amica Marine Le Pen: i liberali degni del nome mai si aggregherebbero a certe comitive. Taglierà i ponti con Casa Pound, con gli estremisti di destra, con le teste rasate; se la Meloni vorrà rincorrerle, buona fortuna a lei e a tutti i Fratelli d’Italia. Non solo: estirperà dal suo lessico espressioni ducesche tipo “noi tireremo dritto” o “chi si ferma è perduto”. Sfogliando qualche classico liberale (ci sono intere biblioteche a disposizione) Salvini apprezzerà l’importanza dei “checks and balances”, degli organi di garanzia, delle tanto bistrattate guarentigie parlamentari. Subirà una mutazione antropologica, frequentando più spesso le istituzioni e di meno le piazze. Scoprirà che il popolo non ha sempre ragione, anzi quasi mai purtroppo, perciò meglio non riempirsene la bocca. Si pentirà di aver detto, dopo il referendum sul taglio degli onorevoli, che le Camere non sono legittimate a scegliere il successore di Mattarella. Si mangerà le mani per aver voluto reddito di cittadinanza e “quota 100”, che del liberalismo economico sono agli antipodi. Diventerà paladino implacabile del rigore, dei conti in ordine, dei risparmi pubblici e privati, del diritto di fare impresa.

Con un’avvertenza: l’agenda liberale di solito non porta voti. I liberali autentici, quelli affezionati all’idea, sono sempre stati quattro gatti, un’élite minoritaria nell’Italia degli assistenzialismi e degli sprechi, delle mafie e delle lobby, dei baciapile e dei perbenisti, delle combriccole e delle corporazioni, dei forcaioli e dei ruffiani. Perciò Salvini, se vorrà vincere le elezioni, lasci perdere la rivoluzione liberale di Piero Gobetti, che fu bastonato dai fascisti e riposa al cimitero Père-Lachaise di Parigi senza nemmeno un fiore sulla tomba. Tragga semmai ispirazione dal Cav, che all’inizio si proclamò liberale ma sempre all’acqua di rose e senza prendersi troppo sul serio.

[da “huffpost”, 11 ottobre 2020]

GUAI A BIRAGHI

Prima della partita Inter-Barcellona la Tv ha mostrato il terzino interista aggiustarsi i parastinchi con la scritta  “Vae victis”, guai ai vinti, con i caratteri ormai associati al fascismo, e un disegno che richiama la simbologia di estrema destra… Molte le proteste sui social, ma perché?  Pur giocando in casa, giustamente il difensore interista ha incassato due goal e, come prefigurava egli stesso, è entrato nella schiera dei perdenti cronici. 

la lepre marzolina – 11 dicembre 2019