LA CORTE COSTITUZIONALE SMANTELLA IL DECRETO SICUREZZA DI SALVINI

Immigrazione, la Corte Costituzionale oggi  boccia (in parte) il decreto sicurezza di Salvini – primo governo Conte.
Doveva cambiarlo il Conte bis, rimasto immobile nel gioco a chi difende meglio i “sacri confini”. Un nuovo schiaffo all’amletico Conte che continua a galleggiare   nel vuoto e alle prediche ipocrite del pd.
Precludere l’iscrizione anagrafica degli stranieri richiedenti asilo, come previsto dal Decreto Sicurezza, è «incostituzionale» secondo la Consulta perché viola l’articolo 3 per cui «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge». La Corte Costituzionale smonta così uno dei pilastri del primo provvedimento bandiera del governo a trazione Lega-M5s fortemente voluto (insieme alla sua successiva riedizione, il decreto Sicurezza Bis) dal leader della Lega e allora ministro dell’Interno Matteo Salvini e dal governo Conte primo.
Una  norma particolarmente odiosa e iniqua che sottraeva alla persona identità, dignità, diritti all’assistenza sanitaria e all’inserimento programmato.
Dopo l’udienza pubblica svolta ieri, oggi la Consulta ha esaminato in camera di consiglio le questioni di legittimità costituzionale sollevate da tre tribunali: Milano, Ancona e Salerno. «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali», recita l’articolo 3.
La norma ritenuta incostituzionale è contenuta nel decreto sicurezza voluto nel 2018 dall’allora titolare del Viminale e dal governo Conte uno: l’articolo 13 del Decreto-Legge D.L. 4 ottobre 2018, convertito con modificazioni dalla L. 1 dicembre 2018, n. 132) e poi ribadita con una circolare inviata a Prefetti e a Sindaci da parte del Viminale vietava di fatto la concessione della residenza anagrafica ai richiedenti asilo.
Da quel momento molte amministrazioni – sottolineano associazioni come per esempio Avvocati di Strada – hanno cominciato a rigettare le domande di residenza dei richiedenti asilo: condizione necessaria per la procedura è infatti l’indicazione di un indirizzo di residenza in Italia. Da allora i dinieghi sono stati impugnati in molte parti d’Italia. E nella stragrande maggioranza dei casi, dicono ancora i legali, i ricorsi sono stati accolti.
Ora la Corte rende giustizia mentre il governo se c’era dormiva o ammiccava

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Sommario
la biscondola
5. paolo bagnoli, meno chiacchiere e più senso della centralità dell’uomo
cronache da palazzo
6. riccardo mastrorillo, sgarbi, nomen omen
res publica
7. angelo perrone, crisi della giustizia: da dove cominciare?
9. antonio caputo, oggi la provocazione è l’ignoranza
la vita buona
10. valerio pocar, la volpe perde il pelo …
nota quacchera
11. gianmarco pondrano altavilla, statue d’inciampo
lo spaccio delle idee
12. pietro polito, per una critica liberale della cultura
16. paolo ragazzi, i fanatici dell’apocalisse: tra storia e storiografia
20. paolo fai, sorteggio e democrazia malata
21. comitato di direzione
22. hanno collaborato
9. bêtise d’oro
15-19. bêtise
 

PRIMA EDIZIONE DEL PREMIO “MIMMO CàNDITO GIORNALISMO A TESTA ALTA”. VINCONO SIMONA CARNINO E MARCO BENEDETTELLI

ASSOCIAZIONE “MIMMO CàNDITO GIORNALISMO A TESTA ALTA”

I primi frutti del Premio “Giornalismo a testa alta” dedicato alla memoria del reporter e inviato di guerra davvero speciale Mimmo Càndito, scomparso il 3 marzo 2018, sono due lavori: uno già svolto, uno ancora da effettuare. Oltre alla sezione Opere, infatti, il Premio ha voluto aiutare concretamente – anche nella consapevolezza della crisi del settore – la realizzazione ex novo di un réportage giornalistico, con la sezione “Progetti”.

In entrambi i casi si tratta di viaggi tra dati e documenti, analisi politiche e testimonianze, ma soprattutto tra volti e storie di persone concrete, capaci di raccontare dalla loro angolazione i tempi che stiamo vivendo. Un giornalismo che prova a rispecchiare in ambito internazionale, nello spirito di Mimmo, l’indipendenza nella ricostruzione e nella rappresentazione dei fatti, per interpretarli e collocarli nel loro contesto storico, geografico e culturale. Un giornalismo che non rinnega l’uso della tecnologia ma che affianca agli algoritmi di Google il compito inderogabile di un cronista: verificare di persona la notizia.

Il Premio si è completamente autofinanziato, attraverso un crowdfunding online al quale hanno partecipato con solo colleghi e amici di Mimmo ma anche lettori ed estimatori che lo hanno apprezzato negli anni attraverso i réportage e i libri.

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L’ULTIMO UMANISTA

Il paese tutto e il mondo laico, con la scomparsa di Carlo Flamigni, perdono un testimone essenziale, un maestro di vita e un esempio di come una cultura immensa possa, e debba, coniugarsi con un’azione civile esemplare. Fino all’ultimo è stato sul fronte.

Per decenni si è prodigato da ginecologo, da bioetico, per la libertà individuale di scelta. Molte donne probabilmente non conoscono il suo nome, eppure davvero in pochi si sono battuti come lui da sempre per la libertà della donna. Come studioso e come militante di una laicità senza compromessi. Era il padre della fecondazione assistita. Era l’anima delle “Giornate della laicità” di Reggio Emilia.

È assolutamente insostituibile, perché Carlo Flamigni fa parte di una specie di scienziati assai poco numerosa, di coloro che sanno essere “totali” come gli umanisti di una volta, che studiano, lottano, scrivono di tutto non all’interno di una torre d’avorio ma immersi nel flusso della vita e della storia della propria epoca. È troppo poco dire che lo rimpiangiamo. [e.ma.]

Salviamo l’orsa JJ4 e fermiamo il leghista Fugatti che vuole abbatterla

di angelo bonelli

Nemmeno la saggezza delle due persone ferite dall’animale (difendeva i suoi cuccioli) che si sono dette contrarie alla sua uccisione sembra fermare il presidente della provincia di Trento. Abbiamo incendiato e cementificato boschi, sottratto sempre di più spazi al mondo animale e ora vogliamo che i boschi diventino la nostra dependance urbana

Nel 1982 usciva il film sperimentale Koyaanisqatsi diretto da Godfrey Reggio. Un documentario senza dialoghi e con collage di filmati che portano in un viaggio dentro la forza della natura e della sua bellezza per passare alla trasformazione impressa dall’uomo all’ambiente in un accelerazione progressiva ed impressionante d’immagini accompagnate da una bellissima e coinvolgente colonna sonora di Philip Glass. Koyaanisqatsi, che in lingua Hopi significa vita turbolenta che porta alla distruzione, è una metafora della vita moderna e della nostra società. Immaginiamo un giorno di svegliarci e passeggiare in un bosco o in una foresta e non sentire più alcun rumore, né di incontrare uccelli o animali. Una foresta senza animali muore: sarebbe un incubo. Quello che vorrebbe l’uomo è avere boschi e foreste sempre più simili alle realtà urbane luoghi dove gli esseri umani pensano di sentirsi sicuri come quando passeggiano nella strada sotto casa o nel giardino del proprio quartiere. Le foreste sono un’altra cosa e bisognerebbe andarci con attenzione e con rispetto. Le foreste mettono paura, la paura che avevamo nelle favole raccontate da piccoli, e quando l’uomo ha paura uccide.

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“Working at home”: per i giornali una scorciatoia sbagliata

di raffaele fiengo

L’espressione “Docking station” fa venire in mente la sequenza di “The Wall” dei Pink Floyd. Ma ahimè non con il computer che viene collegato. Mi immagino (scherzo) il giornalista turnista che arriva e viene collegato, direttamente lui, con il cavetto o senza.

“Working at home” durante le settimane paurose del Coronavirus è stato l’unico modo per portare in edicola e nelle case (dove eravamo tutti rinchiusi salvo brevi uscite ammesse per cibo, farmaci, giornali e sigarette) l’informazione qualificata,  bene primario. A Milano ho fotografato più volte la fila all’edicola e mi ha scaldato un po’ il cuore.

Pensare però che sia stato scoperto, come una mela caduta da un albero, un nuovo modo di fare i giornali (economico e innovativo) è una insidiosa e sbagliata scorciatoia.

Esiste un principio solido,  collaudato, una costituzione materiale del giornalismo: «L’impostazione del lavoro giornalistico è il frutto di un’opera comune, al quale ogni giornalista è chiamato a partecipare secondo le sue competenze. Il direttore, e chi lo rappresenta, ha una funzione di guida che esercita solidalmente con l’intero corpo redazionale, nel riconoscimento delle rispettive prerogative».

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BIONDI E GLI PSEUDO-LIBERALI IN GUANTI BIANCHI

di enzo marzo

La morte di Alfredo Biondi ricorda a coloro che lo conobbero la scomparsa di un simpatico buontempone. Chissà come se la riderà, oggi che sono finiti i suoi interessi terreni, a leggere in qual modo la sua dipartita è stata celebrata da politici e quotidiani di destra.

Forza Italia arriva ad annoverarlo come «una colonna del liberalismo», evidentemente assieme a Croce ed Einaudi, Albertini e Giolitti, Ernesto Rossi e Pannunzio.

Ma non ci scandalizziamo: i berlusconiani da trenta anni spacciano un’immagine di Forza Italia come “partito liberale di massa”. Pronto a realizzare finalmente la “rivoluzione liberale” tanto auspicata da Gobetti. Ovviamente non hanno mai creduto neppure loro a questa scempiaggine, che tutta la storia politica del berlusconismo ha dimostrato d’essere la più solenne bufala di fine secolo. Ma lo slogan – assecondato da un piccolo stuolo di accademici liberaloidi – è servito a molti liberali di destra in gran parte provenienti dal partito liberale, ma anche a rottami del craxismo e a tutto il partito radicale, come patetico alibi per giustificare un vergognoso trasmigrare verso la forza politica fondata da Berlusconi-Dell’Utri e Previti. Tutti nomi non sconosciuti che costituivano una garanzia certa di mascalzonaggine politica al servizio degli interessi personali del Capo azienda.

Purtroppo Biondi fu uno di questi. Quando Scalfaro cassò il nome di un corruttore seriale come Previti proposto, con una faccia tosta senza pari, da Berlusconi come ministro della Giustizia, frettolosamente fu pronta la controfigura. Appunto Biondi. Tutto qui. Il primo governo Berlusconi entrò in azione l’11 maggio 1994. E Alfredo, dopo appena due mesi, si copiò fedelmente una velina proveniente dallo studio Previti e propose addirittura per decreto legge quello che diventò famoso come il “salvaladri”, che vietava il carcere preventivo per reati come corruzione e concussione. Semplicemente si modificavano le condizioni di legge per prescrivere o no il carcere preventivo, il tutto a favore della vecchia e nuova classe dirigente che aveva portato al potere l’uomo di Arcore. Ci credo che oggi il giornale rifondarol-berlusconiano lo compiange così tanto. Il “decreto salvaladri” inaugurò tutta la copiosa serie dei “lodo” e  tutta la legislazione ad personam, che per decenni fu alla base dei nove salvataggi per legge del Padrone. Sinceramente ce li vedo poco Croce e Pannunzio nella stessa brigata di un berlusconiano di complemento. Che fu ricompensato con l’elezione in varie legislature sempre con Forza Italia, fino al suo disimpegno da quel partito, forse perché, diventato completamente inutile, gli era negata l’ennesima riconferma. La storia saprà giudicare con speriamo maggiore severità un regime e i suoi complici che hanno portato  alla disintegrazione dell’etica pubblica  e il nostro paese alla completa rovina politica.

Con Biondi, Urbani e altri i liberali ex Pli comincia una radicale inversione di tendenza rispetto al moderatismo molto civile di Valerio Zanone (e lo può scrivere serenamente chi non fu mai zanoniano), il quale “naturalmente” rigettò ogni compromissione con Arcore e con grande dignità svolse un suo ruolo di oppositore. Mentre la piccola bandierina del Pli cominciava a sguazzare nel fango.

E purtroppo non è finita lì. Nella storia non si sa mai dove si può arrivare, anche se qualche volta c’è una logica stringente.

Il Pli (non ci crederete, ma esiste), infatti, in questi anni è tornato alle sue radici. 

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NON OSATE

di enzo marzo

«Sono arrivata a questa scelta dopo averci riflettuto a lungo, non è stato semplice, ma era diventato impossibile portare avanti idee e progetti per i quali avevo deciso di far parte del Movimento 5stelle». Così dixit Alessandra Riccardi, senatrice del M5s, traslocata nella Lega di Salvini. Non è la prima, e non sarà l’ultima. Un tempo personaggi come questi sarebbero stati definiti “trasformisti”, “attaccati alla poltrona”, “venduti”. Ma ora sarebbe improprio. Evidentemente Riccardi ha «riflettuto a lungo». Mentre Salvini si esibiva nelle sue ultime castronerie. Oppure lei, che deve essere donna di cultura e di «idee», evidentemente si è fatta convincere dal camerata Alberto Samonà, neo assessore leghista alla cultura della Regione siciliana e si sarà commossa alla devozione del vetero e semper fascista verso il terrorista nero Delle Chiaie, e persino alla tenerezza mostrata per le SS: «Guerrieri della luce generati da padre antico e dalla madre terra. Nel sacrificio dell’ultima Thule. Monaci dell’onore».

In tempo di Covid 19 abbiamo avuto occasione di scrivere che, pur molto pessimisti, dobbiamo auspicare una Terza repubblica, opposta alla Seconda, marcita sotto il malaffare del berlusconismo e l’estremismo razzista e parafascista del salvinismo. Un Terza repubblica o sarà “trasparente e rigorosa” o non sarà che la continuazione della “Seconda”, ma ancor più putrida e corrotta. Purtroppo sono già troppi i segnali che non vanno nel verso giusto. Abbiamo anche indicato, come segno sicuro di mascalzonaggine “da Seconda repubblica”,  la sfacciataggine con cui si ostentano decisioni e azioni che un tempo si compivano sì, ma non così copiosamente e soprattutto vergognandosene come ladri colti sul fatto.

Ma, sia chiaro, non diamo alcuna colpa a tale Riccardi.  Lei è quella che è.

La responsabilità politica è tutta di Grillo e di Di Maio.

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E’ UNA BUFALA DIRE CHE I GIORNALI NON SONO VENDUTI –  “Liberi tutti” del Corriere, dove la pubblicità si divora il giornalismo

da “professione reporter”

“Liberi tutti”, pagine del Corriere della Sera del sabato. Dove la pubblicità si tuffa nel giornalismo. O il giornalismo si getta nella pubblicità.

Pagina 31 del Corriere del 20 giugno, titolo: “Fendi, ripartire da Roma”. Paginata sul concerto della violinista Anna Tifu sullo scalone del Palazzo della Civiltà all’Eur, Roma. Il Palazzo, realizzato dal Fascismo per l’Expò 1942 che non ebbe mai luogo, è diventato quartier generale di Fendi. La concertista indosserà tre capi alta moda Fendi.

Pagina 32: “Dallo sport alla musica rap. I nuovi mondi di Bikkembergs”. Brikkembergs, per chi non sapesse, è un marchio di scarpe da ginnastica. Foto del rapper Fedez, tutto vestito di verde, con ai piedi la “capsule collection” di Bikkembergs. “Fedez ha avuto una partecipazione attiva alla realizzazione della scarpa, dandogli una connotazione unisex contemporanea”, ci informa Dario Predonzan,  coo (chief operating officer) dell’azienda Levitas, che fa capo al marchio Bikkembergs.

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I collaboratori sono i nuovi riders, gli editori i caporali

di  andrea garibaldi

Giornalisti come riders? Editori come caporali della piana di Gioia Tauro?

Il paragone, evocato dal segretario della Fnsi, Raffaele Lorusso, è corretto. Lorusso ha anche ricordato l’inchiesta del tribunale di Milano che ha portato a commissariare Uber.  Per caporalato.

Dopo una lunga cavalcata al fianco di medici, avvocati, architetti e notai, il giornalismo assimilato alle professioni liberali finisce qui. Il prestigio sociale, anche a causa di tante cialtronate dei giornalisti stessi, è finito da tempo. La dignità retributiva è all’ultimo miglio.

Dalle cabine di prima classe alla fame. Secondo le nuove tabelle preparate da Caltagirone Editore e inviate ai collaboratori del Messaggero, gli articoli sono pagati da zero a 7 euro, a 13, fino a 39 euro (ma solo oltre le 3500 battute e solo in cronaca nazionale). Ciascun collaboratore non può pubblicarne più di 30 al mese. Incassi ipotetici, quindi, che vanno da 210 a 1170 euro mensili (nel caso, assurdo, di 30 pezzi da oltre 3500 battute).

Naturalmente, lordi.

Il Gruppo Caltagirone ha, nell’insieme, un fatturato di 1,5 miliardi.

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“MA QUANTO E’ BUONO CALTAGIRONE”

di Professione reporter

[e.ma.: Finalmente una buona notizia:   il povero palazzinaro Caltagirone, che era riuscito a far scrivere i collaboratori del suo Messaggero  ricompensandoli con una miseria , ma tale da permettere loro di sopravvivere a pane ed acqua, sta tentando un esperimento che aprirà nuove vie al giornalismo italiano. Sulla base di studi scientifici  prodotti da qualche università di paesi dove ancora persiste lo schiavismo, il palazzinaro, che prende copiosi finanziamenti pubblici, inaugura un nuovo corso che si fonda su un ragionamento ineccepibile: se un collaboratore riesce a scrivere nutrendosi a pane ed acqua, perché non proviamo a sottrargli il pane e vediamo  se non diminuisce la qualità del prodotto? La Federazione nazionale della stampa, da anni complice degli editori, sta assistendo ammirata a questa prova, che se  avesse successo potrebbe essere introdotta persino nel prossimo contratto nazionale.]

Il Messaggero aggiorna le tariffe da fame nel silenzio del sindacato

 

Sono le nuove tariffe imposte dal Messaggero di Roma di Francesco Gaetano Caltagirone ai collaboratori. Un listino tipo barba, capelli e shampoo. il giornalismo però non è solo fatto di un tanto a battuta sul computer. Può esserci qualità ed esclusività anche in 30 righe.

Il nuovo tariffario è prendere o lasciare.

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