Tutti gli articoli di Critica Liberale

LA DIFFERENZA

“Charlie Hebdo”, il settimanale umoristico francese, che ha pagato molto duramente la sua irriverenza contro il fanatismo islamico, ne ha fatta un’altra delle sue pubblicando una vignetta contro Erdogan e l’ipocrisia della sua severa morale. Come tutte le espressioni satiriche è una caricatura paradossale, perché  nessun islamico ha il minimo dubbio sul fatto che Erdogan non abbia mai bevuto alcolici o sollevato la gonna di una donna velata. Però i rapporti Turchia Francia sono precipitati. Ma certo non conviene ai settori fanatici e clericali dell’Islam proporsi come alternativa di “civiltà” alla Francia della libertà di opinione e di espressione, né ai settori moderati scandalizzarsi troppo. Berat Albayrak, il ministro delle Finanze e genero di Erdogan, ha commentato così (a dir la verità, con alquanta moderazione): «Quello che ha fatto “Charlie Hebdo” non è umorismo, è maleducazione!». In effetti, qualche giorno fa un terrorista islamico ha reagito ad alcune vignette di “Charlie Hebdo” sgozzando il professore Samuel Paty che le mostrava, invece il giornale che appartiene alla civiltà della libera espressione ha reagito con la presa in giro di un dittatore. Da una parte, “maleducazione”; dall’altra, brutale assassinio. La differenza è tutta qui.

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Sommario
editoriale
4. angelo perrone, la strada dopo la ricaduta
la biscondola
7. paolo bagnoli, il girotondo della classe politica
cronache da palazzo
8. riccardo mastrorillo, propaganda e cialtroneria
l’osservatore laico
10. niccolò rinaldi, bpur: ban of political use of religion –
una nuova battaglia per lo stato di diritto internazionale
res publica
12. roberto fieschi, un becero maschilismo
astrolabio
13. francesca palazzi arduini, vite meravigliose e modi di lasciarle
la vita buona
15. valerio pocar, cinquant’anni fa il divorzio
lo spaccio delle idee
17. sergio lariccia, la legge sul divorzio e la riforma del diritto di famiglia in italia negli anni 1970-’75
26. paolo fai, una storia davvero italiana
29. ex libris
30. comitato di direzione
30. hanno collaborato
4. bêtise d’oro
6-8-9-11-12-16-25-27-28. bêtise
 

L’ALLEANZA CONTRO LA DEMOCRAZIA – FORZA NUOVA E CAMORRA

di marco miccoli

La saldatura tra malavita organizzata, ultras del calcio e neofascisti, non è nata nelle piazze di questi giorni, è un’alleanza consolidata da tempo.
Basta leggere le inchieste sull’omicidio di Fabrizio Piscitelli, meglio conosciuto come Diabolik, capo indiscusso degli Irriducibili della Lazio.
In quelle pagine c’è tutto. Sono descritti esattamente il legame e gli interessi comuni che lo sostengono.

Spaccio di droga, usura, controllo delle sale giochi, investimenti nei locali della movida notturna, sono ormai da tempo il terreno su cui si è sancita quella saldatura.
Stanno scatenando la guerriglia contro le istituzioni, perché oggi le misure anticovid stanno pregiudicando i loro interessi. Lo fanno tentando di infiltrarsi in mezzo alla disperazione di molti imprenditori e lavoratori onesti, che vanno tutelati e staccati da quella violenta e intimidatoria protesta.
Le violenze sono organizzate e condotte da esperti della guerriglia e degli scontri di piazza. Hanno una regia ad iniziare dalle convocazioni delle manifestazioni.

Lo dico agli analisti e ai guru che ci spiegano che non è vero che dietro alle violenze c’è questo livello eversivo di organizzazione. Se non capite questo, lasciate stare l’analisi e continuate pure a scrivere fiction per le TV.
Comunque, se l’attacco alle istituzioni democratiche proseguirà, oltre alle giuste misure economiche di contenimento e all’opera della magistratura e delle forze dell’ordine, servirà anche una mobilitazione democratica.

 

TOTO’ E I DIABOLICI

[nella foto: Totò e Zingaretti]

Un italiano furbastro, reduce da molti fallimenti,  entra nel Pd e riesce a farsi candidare subito come capolista alle elezioni europee in un collegio arcisicuro, e diventa così parlamentare. Ovviamente non andrà mai a Strasburgo se non per ritirare lo stipendio (è il terzo in assenteismo dei 75 deputati europei italiani). Ha altro da fare: deve abbandonare dopo poche settimane il partito che lo ha fatto eleggere e organizzarne un altro in concorrenza, tanto per sparare contro il governo del Pd e candidare in Puglia un “personaggetto“ da quattro soldi pur di far perdere il Pd e  far vincere un consumatissimo candidato di estrema destra dal curriculum orripilante. L’operazione fallisce. Assieme a un altro “capitano di ventura” presuntuoso come Renzi raccoglie l’1,6 % dei voti. Probabilmente lo 0,8% per ciascuno. Evidentemente sia l’uno sia l’altro hanno pochi parenti in Puglia. Una persona con qualche dignità si ritirerebbe dalla politica, ma – si sa – le “azioni” di Calenda non conoscono la dignità e hanno cicli che durano qualche settimana. Per lui Sinistra e Destra si equivalgono, come Fitto e Zingaretti, ciò che conta è solo il suo personale potere.

Quindi si rimette in circolazione per fare il colpo grosso: la sindacatura di Roma. E qui ha un’idea geniale. A dirla tutta non è proprio sua, è di Totò.

Pensa: “ho venduto Fontana di Trevi ai piddini, perché non si dovrebbero comprare anche il Colosseo? Dopotutto sono quasi gli stessi che distrussero proprio a Roma il proprio sindaco e la propria Giunta con due anni di anticipo per regalare l’uno e l’altra al M5s. Sono gli stessi cui ho rifilato la fregatura di Strasburgo, appena un anno fa… Se ci sono caduti una volta, diabolicamente persevereranno anche la seconda”.

 

 

UN MILIONE DI PAGINE LIBERE DI ESSERE LETTE E STUDIATE

Intervista a Gianni Marilotti di Gian Giacomo Migone

Quando ho letto la delibera del Senato che rende accessibile al pubblico segreti sottratti agli stessi membri delle commissioni parlamentari d’inchiesta, non credevo ai miei occhi. Come storico dei rapporti tra Stati Uniti e Italia, constatare la partecipazione di un colonnello dei carabinieri e di agenti della Cia alla programmazione e all’esecuzione della strage di Piazza Fontana non è scoperta di poco conto, anche a mezzo secolo di distanza. Soprattutto apprenderlo dalla bocca di Paolo Emilio Taviani, per anni ministro dell’Interno e della Difesa, vice presidente del Consiglio in carica all’epoca della strage, rende i fatti da lui citati pressoché inoppugnabili, oltre che uno stimolo a ulteriori ricerche. Diversamente, ma altrettanto importante, la testimonianza di Taviani della piena conoscenza, da parte del governo e dei vertici della sicurezza dell’epoca, del ruolo da protagonisti di elementi neofascisti, e la conferma che la pista anarchica del caso Valpreda, del sacrificio della vita di Giuseppe Pinelli era un lucido disegno di occultamento della verità da parte del potere costituito dell’epoca. Gianni Marilotti, presidente della commissione Biblioteca e Archivio del Senato, con i suoi collaboratori, è stato il principale responsabile di questa preziosa innovazione nella prassi della nostra Repubblica.

Gian Giacomo Migone

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REPUBBLICA 3.0 – 1-“COPIANDO ARTICOLI DISCREDITI IL GIORNALISMO”

di  massimo alberizzi, Senza Bavaglio on 30 Ottobre 2020
Dopo la pubblicazione sul “New York Times” di un articolo sui Falun Gong  che Repubblica ha copiato, Massimo Alberizzi, membro della Giunta esecutiva della FNSI, ha inviato una lettera al direttore di Repubblica, Maurizio Molinari. Milano, 25 ottobre 2020

Caro Maurizio, con un certo dispiacere devo segnalarti un fatto abbastanza increscioso. La sua gravità mi ha da un lato amareggiato, ma dall’altro indignato. Ieri abbiamo pubblicato sul sito di “Senza Bavaglio” (www.senzabavaglio.info) su loro concessione la traduzione in italiano di un articolo del “New York Times”, uscito nell’edizione online il giorno prima . E’ un’inchiestona sulle infiltrazioni del Falun Gong nei media americani, fatte di disinformazione e fake news in favore di Trump e dell’estrema destra USA. Ecco il testo pubblicato del New York Times. Come vedi è datato 24 ottobre, giorno che mi è stato recapitato perché sono abbonato.

L’articolo è molto lungo e dettagliato. Noi l’abbiamo ripreso e tradotto in italiano

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SE SALVINI DIVENTASSE LIBERALE

[nella foto: una manifestazione fascio-leghista a favore di Salvini]

Il Capitano si dice pronto per “una rivoluzione liberale”. Allora dovrebbe cambiare idea su migranti, giustizia, sovranismo, populismo, diritti, omofobia e via dicendo. Tenendo a mente che un’agenda davvero liberale non porta voti.

di ugo magri

Spericolato e coraggioso Salvini, che senza “brain trust” o “think tank” alle spalle ma con l’aiuto del solo Marcello Pera annuncia una “rivoluzione liberale” mai vista in Italia: idea ciclopica buttata lì nel mezzo di un’intervista al “Corriere“ dove non si chiarisce il come e il quando, né viene approfondita la portata storica del progetto. Detta così, sembra la classica “supercazzola” sparata per fare un po’ di rumore e distogliere l’attenzione dalle Regionali andate storte, insomma un’arma di distrazione politica. Però è vero che le grandi conversioni ideologiche maturano un passo alla volta. Diamo dunque a Salvini il tempo necessario per passare dal populismo al liberalismo, partendo da Perón per approdare a Pera. E intanto che lui evolve, proviamo a immaginare che cosa farà il Capitano quando sarà diventato liberale al cento per cento.

Quel giorno la smetterà di dare addosso ai migranti. Si accorgerà che siamo tutti cittadini del mondo. Nell’ottica liberale “diverso” è bello, il mix delle culture una miniera di opportunità; l’immigrazione va controllata – si capisce – ma senza eccitare l’astio, senza proclamare “prima gli italiani” come ai tempi di “Faccetta nera”, senza trattenere i naufraghi a bordo delle navi. In Italia, annuncerà Salvini una volta diventato liberale, c’è posto per chiunque rispetti le leggi e abbia voglia di dare una mano. Difenderà i diritti umani ovunque vengano calpestati, prenderà di mira i regimi totalitari senza trascurare la Russia dove agli oppositori di Putin succedono cose strane. Nel nome delle “libertà liberali” Salvini diventerà un garantista vero. Mai più twitterà che è giusto sparare ai ladri dal balcone di casa, che questo delinquente deve “marcire in galera” e quell’altro andrebbe chimicamente castrato. La giustizia non è un Far West dove il ladro di cavalli viene appeso al ramo: ci sono pene severe bilanciate dalla speranza di redenzione. Forse Salvini non arriverà mai, come Marco Pannella, a battersi per carcerati, prostitute, spinelli liberi e trans. Però una volta completata la sua evoluzione liberale e forse anche libertaria contrasterà le pulsioni omofobe della Lega. Nel nome della “libera Chiesa in libero Stato” già sognata dal conte di Cavour, rinuncerà a esibire rosari nei comizi nonché a flirtare con i circoli più retrivi di Santa Romana Chiesa.

Fedele al vecchio adagio “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”, Matteo se ne andrà schifato dal gruppo sovranista europeo, frequentato da nazionalisti xenofobi come Alternative Für Deutschland, e pazienza se darà un dispiacere all’amica Marine Le Pen: i liberali degni del nome mai si aggregherebbero a certe comitive. Taglierà i ponti con Casa Pound, con gli estremisti di destra, con le teste rasate; se la Meloni vorrà rincorrerle, buona fortuna a lei e a tutti i Fratelli d’Italia. Non solo: estirperà dal suo lessico espressioni ducesche tipo “noi tireremo dritto” o “chi si ferma è perduto”. Sfogliando qualche classico liberale (ci sono intere biblioteche a disposizione) Salvini apprezzerà l’importanza dei “checks and balances”, degli organi di garanzia, delle tanto bistrattate guarentigie parlamentari. Subirà una mutazione antropologica, frequentando più spesso le istituzioni e di meno le piazze. Scoprirà che il popolo non ha sempre ragione, anzi quasi mai purtroppo, perciò meglio non riempirsene la bocca. Si pentirà di aver detto, dopo il referendum sul taglio degli onorevoli, che le Camere non sono legittimate a scegliere il successore di Mattarella. Si mangerà le mani per aver voluto reddito di cittadinanza e “quota 100”, che del liberalismo economico sono agli antipodi. Diventerà paladino implacabile del rigore, dei conti in ordine, dei risparmi pubblici e privati, del diritto di fare impresa.

Con un’avvertenza: l’agenda liberale di solito non porta voti. I liberali autentici, quelli affezionati all’idea, sono sempre stati quattro gatti, un’élite minoritaria nell’Italia degli assistenzialismi e degli sprechi, delle mafie e delle lobby, dei baciapile e dei perbenisti, delle combriccole e delle corporazioni, dei forcaioli e dei ruffiani. Perciò Salvini, se vorrà vincere le elezioni, lasci perdere la rivoluzione liberale di Piero Gobetti, che fu bastonato dai fascisti e riposa al cimitero Père-Lachaise di Parigi senza nemmeno un fiore sulla tomba. Tragga semmai ispirazione dal Cav, che all’inizio si proclamò liberale ma sempre all’acqua di rose e senza prendersi troppo sul serio.

[da “huffpost”, 11 ottobre 2020]

RICCHI E POVERI

«Quante volte, la domanda che si fa tanta gente: “Cosa posso comprare? Cosa posso avere di più? Devo andare nei negozi […] a comprare”». Così il Papa in occasione della Giornata della povertà. Noi abbiamo la risposta: se per il Natale non sapete come spendere 410 milioni di sterline della tredicesima, non andate per negozi. Piuttosto rivolgetevi alla Segreteria di Stato vaticana. E compratevi un bel palazzo e qualche appartamento nel centro di Londra. Fate come il cardinal Becciu, intanto sono soldi dei poveri…

la lepre marzolina – lunedì 16 novembre 2020

UN “IN” CHE STA PER DOMINIO: IL COGNOME DEL MARITO SULLE CANDIDATURE ELETTORALI

di  alessandro giacomini in *maestranzi.

Le prime tracce di assumere il cognome del marito si riscontrano nell’antica Roma, tutto ciò era di legge in quanto il matrimonio prevedeva l’affrancamento della donna alla podestà del marito, la cosiddetta “ Manus“, la manus era un diritto del marito di poter decidere perfino della morte della moglie. Purtroppo, pur balzando di parecchi secoli la situazione non si è evoluta, già in tempi più recenti il codice civile del regno d’Italia si esprimeva cosi : “ il marito è capo della famiglia, la moglie ne assume il cognome, ed è obbligata ad accompagnarlo dovunque egli creda “. 

Lo stesso obbligo che si è palesemente notato nelle recenti consultazioni elettorali, l’aggiunta del cognome del marito sarebbe avvenuto d’ufficio, senza la richiesta dell’interessata, o meglio, le amministrazioni lo hanno inserito senza avvisare le elettrici. La possibilità di inserire il cognome del marito accanto a quello della consorte sulla scheda sui registri elettorali e sulle candidature esiste da almeno 20 anni, ma solo negli ultimi mesi il ministero dell’Interno ha fatto applicare questa possibilità, facendo stampare il nome del coniuge sulle tessere delle elettrici. L’articolo 13 della legge 30 aprile 1999 n.120 sulle “Disposizioni in materia di elezione degli organi degli enti locali nonché disposizioni sugli adempimenti in materia elettorale” disciplina le modalità di istituzione della tessera elettorale. Da segnalare pure diversi casi di donne separate con l’aggiunta del cognome del marito, un insopportabile passo indietro anche di sensibilità . Ma che significato ha dire la moglie di, forse le donne sposate non sono più se stesse ?

Un personale e simpatico esempio:

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FANATISMO RELIGIOSO: UNA TESTIMONIANZA AGGHIACCIANTE

di marta loi

Le immagini si sa, sono più potenti del testo , “arrivano prima”.
Ecco…inizio scrivendo che questa non è la mia tomba, ma è quella di mio figlio.
Mesi fa, condividevo con sdegno un post sullo scandalo delle proposte, in giro per l’Italia, in merito a cimiteri di feti e prodotti del concepimento senza il consenso delle donne.
L’ho fatto perché ero all’oscuro di cosa accade nella realtà nel comune di Roma.
Ecco siccome non si deve mai generalizzare racconto cosa è successo a me.
Nel momento in cui firmai tutti i fogli relativi alla mia interruzione terapeutica di gravidanza, mi chiesero:
“Vuole procedere lei con esequie e sepoltura? Se sì, questi sono i moduli da compilare. ”
Risposi che non volevo procedere, per motivi miei, personali che non ero e non sono tenuta a precisare a nessuno.
Avevo la mente confusa, non ho avuto la lucidità sufficiente per chiedere cosa succedesse al feto.
Dopo circa 7 mesi ritirai il referto istologico, e pensando ai vari articoli sulle assurdità su sepolture di prodotti del concepimento, ebbi un dubbio.
Decisi di chiamare la struttura nella quale avevo abortito, e dopo aver ricevuto risposte vaghe, decido di contattare la camera mortuaria.
“Signora quale è il suo nome?”
“Loi Marta”
“Signora il fetino sta qui da noi.”
” Ma come da voi?”
“Signora noi li teniamo perché a volte i genitori ci ripensano. Stia tranquilla anche se lei non ha firmato per sepoltura, il feto verrà comunque seppellito per beneficenza. Non si preoccupi avrà un suo posto con una sua croce e lo troverà con il suo nome”.
“Scusi ma quale nome? Non l’ho registrato. È nato morto.”
“Il suo signora. Stia tranquilla la chiameremo noi quando sarà spostato al cimitero” 
“Ok grazie mille.”
……..
Bene, scopro che sul sito di Ama cimiteri capitolini esiste una sezione dedicata a descrivere lo scenario nel quale si inseriva quel progetto di “giardino degli angeli” del 2012. 
“In assenza di un Regolamento regionale, questo tipo di sepoltura è disciplinata dai commi 2, 3 e 4 dell’art. 7 del D.P.R. 285/90 (Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria) che, in sintesi prevede che:
…………
i “prodotti del concepimento” dalla 20^ alla 28^ settimana oppure i “feti” oltre la 28^ settimana, vengono sepolti su richiesta dei familiari o, comunque, su disposizione della ASL.
………

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CONTE E LE CRITICHE CAMPATE IN ARIA

di gianfranco pasquino

Non fanno un buon servizio alla comprensione della politica italiana tutti coloro che, un giorno sì e quello dopo anche, sottolineano la debolezza del governo Conte 2 e dello stesso Presidente del Consiglio, e annunciano, talvolta anche auspicandole, la sua prossima caduta e la sua immediata sostituzione. Non posseggo capacità divinatorie, ma sono convinto che qualsiasi discussione sulla politica che miri ad essere rilevante deve essere fondata sui fatti e sugli elementi disponibili, eventualmente anche per smentirli. Ne vedo quattro che mi paiono tutti molti rilevanti e solidi. Primo, sono oramai molti mesi che tutti i sondaggi segnalano qualcosa di inusitato. Tanto il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte quanto il governo da lui presieduto godono di un alto livello di approvazione, superiore al 60 per cento e molto più elevato di qualsiasi governo precedente. Conte poi sopravanza personalmente di parecchio tutti gli altri leader politici italiani. Secondo, il Presidente del Consiglio (con il suo Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri) hanno acquisito un alto grado di credibilità nell’ambito dell’Unione Europea e delle sue autorità. Conte si è mostrato preparato e intransigente ed è stato premiato con il più cospicuo pacchetto di prestiti e sussidi accordato ai singoli paesi: 209 miliardi di Euro. Sulla sua capacità di impegnarli e spenderli presto e bene Conte ha opportunamente chiesto di essere valutato a tempo debito. In democrazia si fa proprio così. Terzo, per un paio di mesi, commentatori privi di fantasia hanno fatto circolare il nome di Mario Draghi come il più probabile successore di Conte, già pronto a subentrargli. Nessuno di loro è riuscito ad avere un’intervista con Draghi il quale si è guardato bene dal dichiararsi disponibile. Il grande banchiere sa che l’Italia è una “brutta gatta da pelare” ed è molto probabilmente consapevole che un conto è presiedere la Banca Centrale Europea un conto molto diverso essere catapultato in un sistema politico non possedendo potere politico proprio. Gli altri nomi menzionati, tutti di caratura inferiore a quella di Draghi, costituivano un elenco di uomini (neppure un donna!) noti, ma nulla più. Quarto, anche se ripetutamente il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha sottolineato l’importanza quasi assoluta della stabilità di governo e della continuità della sua azione, quirinalisti e retroscenisti lasciavano trapelare (o si inventavano) una qualche insoddisfazione del Quirinale nei confronti di Palazzo Chigi. Al contrario, esistono molte dichiarazioni di Mattarella che debbono essere interpretate nel senso di una sua grande contrarietà a qualsiasi crisi di governo. Il Presidente della Repubblica non si allontana dalla convinzione che il governo in carica ha l’obbligo politico di formulare i progetti indispensabili per usufruire dei fondi europei ed è il meglio attrezzato a farlo. Le critiche giornalistiche e politiche a Conte continueranno. Sarebbero meno campate in aria se tenessero conto di qualche fatto.