La crisi dei partiti la crisi del paese

di riccardo mastrorillo

apriamo un consultorio per politici disorientati

Le dimissioni, apparentemente irrevocabili, di Nicola Zingaretti, da segreario del Partito democratico disvelano, se ancora ce ne fosse bisogno, il declino assoluto della politica e dei partiti nel nostro paese. Le analisi superficiali e miopi dei media e degli stessi dirigenti politici assegnano la responsabilità della crisi alle divisioni interne, alle correnti, ai personalismi e magari a qualche congiura promossa da un complotto internazionale. La crisi è banalmente prodotta dall’assenza totale della politica.

L’amministrazione della cosa pubblica, che è il significato originario del termine politica, è un azione che si disvela non come pura e semplice tecnicità pratica, ma fonda la sua azione sulla base di valori fondanti, una volta andavano di moda addirittura le ideologie, visioni strategiche a lungo raggio, progetti e proposte concrete, basate sui valori fondanti. La crisi della politica vede il suo culmine nella utopia del superamento delle due distinzioni principali: “destra e sinistra”. Il nuovo nichilismo, che minaccia la democrazia liberale, cioè il superamento dei valori di riferimento, l’annullamento di qualsiasi cultura politica, ha prodotto la semplice conseguenza di ridurre la politica al mero esercizio del potere. In un nulla indefinito si alternano, a gestire la cosa pubblica, diversi gruppi di potere, autodefiniti “partiti”, qualcuno, in un rigurgito di ridicola trasparenza, addirittura “non partito”. In questi pseudopartiti l’appartenenza e la permanenza è determinata, non da affinità culturali e ideali, ma da misure matematiche delle opportunità di conquistare più o meno potere. Da qui la scandalosa e dilagante pratica di cambiare partito, fondarne nuovi, mescolarsi continuamente nella ricerca spasmodica di emergere dall’indistinta mediocrità dell’assenza di idee.

Diventa urgente, per la sopravvivenza, non solo della politica, ma delle stesse istituzioni democratiche rifondare le appartenenze sulla base di chiare e definite culture politiche. E’ necessario riappropriarsi della capacità programmatica, non relegata alla stesura di mozioni congressuali attente solo all’estetica, talvolta meno alla semantica, da dimenticare subito dopo la conclusione di un Congresso. Magari, ogni tanto celebrandoli quei congressi di partito che, una volta, erano il luogo della definizione delle strategie politiche. Distinguendo la strategia dalla tattica, quest’ultima affidata alla responsabilità dei dirigenti politici, e non alla contingenza dettata dagli accadimenti o dalle dichiarazioni di qualche leader durante una trasmissione televisiva, o peggio, su una pagina social.

Proponiamo, come semplice strumento di chiarezza, per tutti i movimenti politici che vogliono “concorrere a determinare la politica nazionale” (art. 49 della Costituzione), di uscire dal provincialismo tipico del teatrino italico, e fare riferimento alle famiglie politiche europee. Sappiamo bene che anch’esse hanno contraddizioni e confusioni significative al loro interno, ma è comunque un primo passo per riacquistare strumenti di indirizzo ideale e programmatico che, negli ultimi anni, in Italia, sono andati completamente perduti. Una “cartina tornasole”.

Ci immaginiamo la creazione di una sorta “consultorio per politici disorientati”, da costituire magari presso i gruppi Misti di Camera e Senato, dove il singolo parlamentare confuso possa recarsi per essere aiutato. La procedura sarebbe semplice, al Parlamentare sarebbe fatta una domanda: “se fossi stato eletto oggi al parlamento Europeo, in quale Gruppo ti iscriveresti?”. In base alla risposta il parlamentare verrebbe indirizzato al Partito Italiano di riferimento. “Mi iscriverei al Gruppo Socialdemocratico”, bene: “puoi scegliere Pd, PSI o Articolo Uno”; “mi iscriverei al Gruppo Verde”, bene: “puoi aderire ai Verdi Italiani”; “ai Popolari”: “c’è Forza Italia”; “Identità e democrazia”: “La Lega di Salvini”……. Certo magari nel corso del tempo i vari partiti distinti che afferiscono alla stessa cultura politica potrebbero accorparsi per rendere ai confusi più semplice orientarsi.

Negli ultimi anni abbiamo assistito alla nascita e allo scioglimento di svariati soggetti politici e, se andiamo ad analizzare le loro caratteristiche, scopriremo che quasi tutti nascevano senza una chiara e definita cultura politica, magari al loro interno esistevano più filoni culturali, in alcuni casi anche difficilmente compatibili. Lo stesso Pd, in un primo momento era composto da esponenti che appartenevano al PPE, all’ALDE e al PSOE. Fu Renzi che decise di semplificare la collocazione europea del Pd, portandolo definitivamente nel PSOE. Quella scelta, che forse avrebbe dovuto essere il frutto di una seria e lunga riflessione politica, magari con un apposito congresso, fu presa esclusivamente per motivi tattici, dettati dalle contingenze e non da una convinta adesione alla cultura politica socialista. Questo per chiarire, se ancora ce ne fosse bisogno, quanta importanza viene data nel nostro paese alla cultura politica. Ancor prima Berlusconi, mentre si autodefiniva, incurante dell’eclatante ossimoro, “liberale”, decideva di far aderire Forza Italia al PPE. Non perdiamo tempo a ribadire l’opportunità di assumere quella scelta in un Congresso di partito: Forza Italia, nel corso della sua lunghissima esistenza, ha celebrato un solo congresso….. E’ cronaca nota la continua ricerca spasmodica del movimento 5 stelle di un Gruppo parlamentare per i suoi Eurodeputati: nell’arco di 3 anni sono passati dal Gruppo degli Euroscettici alla richiesta di aderire all’ALDE prima, ai Verdi poi, attualmente non sono iscritti ad alcun gruppo, ma hanno votato la fiducia all’attuale commissione Europea.

In questo periodo di fermento politico si susseguono incontri, contatti, riunioni al fine di costituire improbabili nuovi partiti, o rifondare movimenti esistenti, tutti rigorosamente ecologisti, liberali, e con la priorità al lavoro. Nessuno dei tanti aspiranti leader di questi nuovi e salvifici partiti si sogna di definire in maniera chiara la sua cultura politica. Spesso ignorandole completamente, come fanno spesso alcuni esponenti della destra conservatrice o reazionaria, che credono di essere liberali. Nessuno prende in considerazione la possibilità di aderire, trovandosi, per vari motivi, privo di una tessera in tasca o, di un account valido sulla piattaforma, ad uno dei tanti, troppi partiti esistenti. Anzi spesso i nuovi movimenti nascono sulla base di cordate formate da esponenti assolutamente incompatibili culturalmente. Ripetiamo e ripeteremo senza sosta l’invito ad interrogarsi intimamente, a fare “discernimento”, rendendoci disponibili collaborare al “consultorio per politici disorientati”, al fine di individuare la giusta collocazione, per il bene della politica e per il bene del paese.

3 commenti su “La crisi dei partiti la crisi del paese”

  1. Bravo Riccardo.
    Condivido, pienamente, le tue considerazioni.
    E, poi, “il consultorio per politici disorientati” è un tocco di classe.

  2. Destra, sinistra o meglio chi favorisce l’espansione dei poteri dello Stato e chi invece li vorrebbe ridurre. Su IBL si solleva il caso Einaudi e la sua tesi sulla tassa di successione: in linea di principio probabilmente più vicino ai socialisti anche se Svezia e Norvegia la hanno in seguito ridimensionata. Una volta Silone si chiedeva, dopo i danni del fascismo e del comunismo, cosa ,dunque, rimane? Credo che oltre i convincimenti personali e una lunga cultura cristiana, molti altri problemi che dovremo risolvere come la tecnologia o l’ecologia che, a mio parere, non sono ne di destra ne di sinistra.

  3. Saggia considerazione Riccardo. Aggiungerei un piccolo inciso: oltre a mancare l’impegno a curare la cultura politica, spesso oggi si confonde l’azione Politica con l’attività parlamentare ed partiti (associazioni di persone) con gruppi parlamentari.

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