LA RAPPRESENTANZA SOFFRE E NON E’ QUESTIONE DI NUMERI

di andrea pertici 

La Camera dei deputati ha concluso la fase parlamentare di approvazione del taglio dei parlamentari, che passerebbero da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori (oltre quelli a vita), con un voto plebiscitario: 553 i favorevoli, 12 i contrari, 2 gli astenuti. Il procedimento non si è però concluso, perché in Senato non erano stati raggiunti i due terzi dei voti favorevoli e quindi nei prossimi tre mesi potrà essere chiesto il referendum. Dopo la presentazione delle richieste, eventualmente, si svolgerà il controllo di legittimità delle stesse da parte dell’Ufficio centrale per il referendum (entro trenta giorni), e, in caso di suo esito positivo, entro sessanta giorni, il Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, indirà le votazioni, che dovranno svolgersi in una domenica compresa tra il cinquantesimo e il settantesimo giorno successivo. In definitiva, la vera conclusione del procedimento si realizzerà tra poco più di tre mesi, se non verrà chiesto il referendum, o tra circa sei mesi, se almeno una richiesta sarà presentata.

Se si dovesse andare a nuove elezioni parlamentari prima, si voterebbe per 630 deputati e 315 senatori. Probabilmente non accadrà e, se il referendum questa volta confermerà il voto parlamentare, alle prossime elezioni voteremo per 345 parlamentari in meno. Questo, come è stato detto, potrebbe rappresentare un’ulteriore assicurazione sulla durata delle Camere, perché i parlamentari in carica, già poco inclini a lasciare il seggio anticipatamente, sanno che le loro possibilità di rielezione si ridurranno ulteriormente.

La Camera dei deputati ha concluso la fase parlamentare di approvazione del taglio dei parlamentari, che passerebbero da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori (oltre quelli a vita), con un voto plebiscitario: 553 i favorevoli, 12 i contrari, 2 gli astenuti. Il procedimento non si è però concluso, perché in Senato non erano stati raggiunti i due terzi dei voti favorevoli e quindi nei prossimi tre mesi potrà essere chiesto il referendum.

Ora, mentre i sostenitori della riforma puntano soprattutto sul miglioramento dell’efficienza dei lavori parlamentari e sul risparmio di risorse pubbliche, gli oppositori (ormai quasi inesistenti tra i parlamentari) lamentano la diminuzione della rappresentanza e, in alcuni casi, paventano addirittura che questo sia il primo passaggio verso il superamento della democrazia parlamentare. Tralasciando questi ultimi, le cui suggestioni non sono assistite da alcun concreto riscontro, non c’è dubbio che la diminuzione del rapporto tra eletti ed elettori incida (negativamente) sulla rappresentanza.

Da questo punto di vista occorre, però, dire, in primo luogo, che l’attuale numero dei parlamentari è uno dei più elevati d’Europa, tanto che una riduzione è stata proposta nel corso degli anni da tutte le parti politiche, anche se personalmente l’avrei fissata a un livello meno radicale. Soprattutto, però, deve replicarsi che, da ormai molti anni, il legame rappresentativo è in estrema sofferenza, nonostante l’alto rapporto tra eletti ed elettori.

La rappresentanza soffre anzitutto del fatto che i partiti non rappresentano più la sede in cui i cittadini possono concorrere con metodo democratico alla determinazione della politica nazionale (come prevede l’art. 49 della Costituzione), al massimo organizzando elezioni di capi e capetti o votazioni plebiscitarie più o meno prive di discussione, quando non semplici conferenze del ministro o del sottosegretario di passaggio dalla sede locale.

Nei partiti non si discute niente, non c’è nessuna elaborazione e l’iscrizione interessa solo a chi si prepara a una scaramuccia per un posto in segreteria, credendo che quella sia la politica. Ma la rappresentanza soffre fortemente anche nel voto, perché le leggi elettorali sono concepite in modo da evitare che gli elettori scelgano gli eletti o addirittura che li conoscano.

Il voto dell’elettore è indirizzato sul simbolo (di solito nuovo a ogni elezione e quindi anche poco impegnativo) e su un leader (generalmente caduco), come se nulla contasse la composizione personale delle Camere. I posti in lista sono distribuiti sulla base delle simpatie del leader e propinate all’elettore che può solo prendere o lasciare e che spesso si prende uno sconosciuto, che magari se ha fatto un po’ di politica (spesso no) l’ha fatta con generiche dichiarazioni in qualche talk show o in territori lontani ed estranei, venendo poi catapultato nella zona dove il partito è più forte o che è rimasta libera dopo avere piazzato i candidati più cari al leader.

Ora, c’è da chiedersi se, a fronte di tutto questo, dei problemi della rappresentanza ci si debba accorgere solo quando si riduce il numero dei parlamentari, che da tempo non sono rappresentativi. In ogni caso, visto che la questione della rappresentanza sta all’improvviso così a cuore a molti, ci auguriamo che nel dibattito pubblico e in quello parlamentare ci si impegni, oltre che per un rilancio della funzione dei partiti, per una legge elettorale capace di ricostituire quel rapporto tra elettori ed eletti distrutto a partire dall’approvazione del “porcellum” e mai più ricostituito.

*Professore ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Pisa

L’articolo è tratto da  HUFFINGTONPOST.IT

 

Un commento su “LA RAPPRESENTANZA SOFFRE E NON E’ QUESTIONE DI NUMERI”

  1. E’ stata formulata da Ainis una proposta molto interessante, anche se velatamente provocatoria, per quanto riguarda la “rappresentanza” degli eletti. Fissare un numero variabile di parlamentari in funzione del votanti, piu’ sono i votanti e piu’ sono gli eletti. Nelle intenzioni del proponente dovrebbe funzionare da stimolo alla classe politica a migliorare il valore dei propri esponenti e quindi incentivare gli italiani a recarsi alle urne. Perche’ in effetti il problema della nostra democrazia non e’ tanto il numero (comunque eccessivo) dei parlamentari ma il meccanismo della loro selezione che attualmente premia i peggiori, quelli meno dotati di competenze e valori e che, nonostante cio’, riescono eletti in virtu’ di relazioni o comuni cointeressenze coi leader dei rispettivi partiti. Tutto qui. Del resto, basta guardare a chi si e’ opposto alla riforma, alle loro argomentazioni interessate, per stare lontani chilometri e chilometri da questi personaggi.

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