DI NECESSITÀ VIRTÙ, INTANTO SALVIAMO LE ISTITUZIONI

dI paolo bagnoli

Il nuovo governo è nato e Giuseppe Conte, non più avvocato del popolo, ma capo condominio politico del nuovo stabilimento Pd-5 Stelle, ha iniziato la sua nuova avventura invitando gli italiani a sognare. Beh, questa volta, rispetto alla previsione del 2019 quale anno bellissimo, dobbiamo dire che, sicuramente in modo involontario, ha intercettato il desiderio di tanti italiani che non rinunciano, nonostante tutto, a sognare un paese normale governato da una politica democratica degna di questo nome. Vedremo se il Conte bis marcerà in tale direzione; vedremo!

Nato a seguito di una crisi anomala aperta da un improbabile e goffo Salvini, ipotizzato da autorevoli esponenti tutti di provenienza democristiana, perorato dall’area ex-comunista presente nel Pd e nei 5Stelle,auspicato da esponenti europei di primo piano, battezzato all’annuncio della sua sola possibilità di nascere dal calo subitaneo dello spread, ben visto da quella parte della gerarchia cattolica che non aveva sopportato il leghista dai toni crociati assumere la veste di predicatore madonnaro, fecondato dalla paura di un voto anticipato che avrebbe potuto portare Salvini a Palazzo Chigi, era praticamente scontato che quanto fino a qualche tempo orsono sembrava contro natura – ossia l’intesa tra Pds e 5 Stelle – mandate alle ortiche in un tempo più breve dello spazio di un mattino tante bellicose posizioni intransigenti, prendesse corpo. Crediamo con un sospiro di sollievo di Mattarella. Sarà bene, tuttavia, che il presidente  faccia esercizi respiratori profondi perché, ancor prima della conclusione positiva della trattativa, sono emersi segni di inquietudine da parte di un Renzi tornato prepotentemente sulla scena politica.

Intendiamoci: che Salvini sia fuori dal governo è certamente positivo e aver impedito che ci potesse tornare più che positivo; alla fine una qualche logica, se non altro antirazzista, ha prevalso. 

Il nuovo quadro, tuttavia,   non cambia i 5Stelle al di là dei predicozzi di un Grillo tornato urlante poiché siamo convinti che, nel caso di una nuova crisi, il movimento non avrebbe nessuna remora a cambiare di nuovo spalla al fucile. Tale cinico e immorale comportamento lo definiscono come dovuto al fatto che non sono né di destra né di sinistra e, quindi, postideologici. È la scusante di chi non sa cosa essere se non che si ritiene giustificato solo per quello che giornalmente fa rivendicandolo senza un minimo di pudore. Il neo ministro degli esteri aveva tifato per i gilet gialli; come imposterà, ora, le relazioni con Macron? Saranno anche postideologici, ma nel governo precedente hanno praticato politiche di estrema destra, hanno sbandierato un rozzo antieuropeismo, si sono fatti paladini dell’antimodernità e ora, che da un governo giallo-verde si trovano in uno definito giallo-rosso, cosa faranno? A vedere da come il Pd ha condotto la trattativa c’è da ritenere che di “rosso” con cui fare i conti troveranno poco, considerato che anche il Pd ha, fin dalla nascita, coltivato l’intenzione di essere una forza antideologica. La formula del “partito della nazione” lo testimonia; il meccanismo delle primarie è una specie di sistema Rousseau aperto a tutto il popolo che può esprimersi sul segretario pieddino; insomma, e potremmo continuare, alcuni fattori genetici sono similari. Ben diversa l’origine: i postcomunisti con la sinistra integralista democristiana hanno dato vita al Pd; il grido di guerra grillino, Vaffa!, al movimento. Ciò che li  accomuna è l’irrisolutezza delle rispettive operazioni poiché il Pd non è mai divenuto un vero partito e il movimento ha continuato a muoversi con sola logica di casseur anche una volta andato al governo. Riusciranno due operazioni irrisolte a dare forma a un governo minimamente degno di questo nome?

Infine, non abbiamo capito perché il Pd, decidendosi a fare un passo così importante, abbia largheggiato nel conferire alla scelta una dimensione di legislatura e quasi addirittura costituente mentre sarebbe stato più opportuno, e più veritiero, parlare di governo di garanzia istituzionale visto che, anche se quasi nessuno ne parla, ci sarebbe da porre rimedio alla decomposizone dei corpi dello Stato. Ma si sa: tutti gli amori sono eterni fino a che non finiscono.

3 commenti su “DI NECESSITÀ VIRTÙ, INTANTO SALVIAMO LE ISTITUZIONI”

  1. Piuttosto “il fine giustifica i mezzi” (ed è quanto di più lontano ci possa essere dal paradigma liberale). Si sarebbero dovute tenere le elezioni generali. Con i tre partiti che sono ora al governo che in campagna elettorale annunciavano il loro progetto politico – il progetto di una coalizione.

  2. …e consegnare il paese a chi aveva preannunciato il programma di volere i pieni poteri….. La democrazia parlamentare è altra cosa. In parlamento si compongono durante una legislatura varie maggioranze e vari governi. Non mi pare che comporre un nuovo governo e una nuova maggioranza sia illiberale.

  3. Perché ritenete che le elezioni generali le avrebbe vinte la Lega? Chiedetevi: come si fa a perdere contro questa Lega, come si fa ad avere paura di perdere? E comunque sarebbe stato un risultato da accettare. Chiedere in modo scomposto (e un po’ comico) i ‘pieni poteri’ come ha fatto Salvini non significa certo ottenerli, anche se si governa, in una democrazia. Ci sono altri poteri a controbilanciare il Governo, e altri livelli ai quali esprimere il conflitto. La spregiudicata operazione di trasformismo politico – che le élite progressiste stanno legittimando – e che è all’origine di questo Governo avrà conseguenze molto negative sulla democrazia italiana.

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