pensierini elettorali: tra i barbari e i barberini

di enzo marzo

Questa campagna elettorale, cominciata da più di un anno, sta finalmente alle battute finali. Con un record difficile da superare. Non si erano mai visti tanti e così rapidi mutamenti di idee, di fronti, di risse con i presunti amici. Per strappare qualche voto in più. Queste elezioni europee hanno assunto inoltre la caratteristica sempre più accentuata di grande sondaggio, finalmente veritiero e certificato ufficialmente, sui rapporti di forza all’interno di ciascun paese. Ma soprattutto in Italia. Ciò rende ancora più difficile la scelta all’elettore che avrà in mano una sola scheda elettorale ma dovrà conciliare due logiche non coincidenti.


Il voto, certo, sarà per l’Europa. Che è davvero a una svolta e mai messa alle strette come in questa fase. Probabilmente i gruppi storici non saranno sconfitti, ma arretreranno, forse è anche un bene, perché negli ultimi decenni si sono rinchiusi in una logica riduzionista da “Europa intergovernativa” trascurando i popoli e abbandonando l’idea federalista, il disegno vagheggiato inizialmente. Ed è paradossale che ad aggredire l’idea europeista siano proprio i sovranisti, ovvero i portatori di un nazionalismo d’antan che tutto sommato dovrebbe essere il più soddisfatto dell’attuale politica di Bruxelles fondata sugli egoismi nazionali. Ma l’appetito vien mangiando e questi sovranisti non si accontentano più. Anche se proprio il vetero nazionalismo li costringerebbe a tenere conto ancora di più degli interessi nazionali riducendo l’Europa da costruzione asfittica e dagli ideali perduti in un consesso fucina addirittura di futuri conflitti. Un’Europa troppo influenzata dai sovranismi sarebbe troppo debole per reggere alle sempre più inevitabili competizioni economiche con giganti che, proprio con le quinte colonne di estrema destra largamente finanziate, tendono a far fuori l’Europa dalle cose che contano nel mondo. Riducendoci a vaso di coccio tra Putin e Trump. Anche questo è paradossale: i sovranisti così patriottici portano avanti gli interessi geopolitici di chi ci vuole distruggere. Problemi che si aggiungono all’invasione africana che senza una comune e regolata gestione diventerà totalmente ingestibile. Quindi il voto è semplice. L’obiettivo è di arginare le forze nazionaliste, ricordando i guasti che nel secolo scorso ridussero l’Europa a un cumulo di macerie e a montagne di morti. Il nazionalismo europeo portò a follie ideologiche e ad azioni turpi che raggiunsero vette ritenute inimmaginabili da mente umana. A dir la verità, eravamo convinti che i danni provocati fossero così evidenti che pensavamo che quello che Einaudi definì un «idolo immondo», il nazionalismo, fosse definitivamente seppellito. Ci sbagliavamo. I nuovi fanatismi tornano a mettere apertamente in discussione la civiltà liberale. Vanno semplicemente sconfitti. Senza indulgere a tatticismi.
La scelta, sotto questo punto di vista, è semplice. I nemici da sconfiggere sono i sovranisti dichiarati, come la Lega e i Fratelli d’Italia, ma poi i giochi sono complicati dalla camaleontica furberia all’italiana. Così abbiamo Forza Italia che si proclama “europeista”, ma è desiderosa soltanto di morire il più tardi possibile, lentamente, tra le braccia di un sovranista improvvisato. Si proclama “liberale” però è cosi vogliosa di tornare a governare il nostro pase con chicchessia che fa finta di non accorgersi di star immergendosi sempre di più in uno schieramento ideologicamente diretto da una Le Pen e soprattutto da un Orbàn inventore della formula della “democrazia illiberale”. Verrebbe da ridere se non fosse da piangere. Forza Italia schiera alle elezioni il presidente del parlamento europeo, ma dal giorno dopo le lezioni cercherà disperatamente l’alleanza col più rumoroso antieuropeista. Non meno ambiguo è il M5s. Ci dovremo rassegnare all’opportunismo e ai bruschi cambiamenti di linea politica dei casaleggini. Sull’Europa la loro non è una posizione ma una girandola di opinioni cosi veloce che, credo, essi stessi non ci capiscono più nulla . Nella scorsa legislatura europea sono stati alleati con Farage, il costruttore della Brexit, poi si sono accostati a Macron, in Italia condividono con Salvini il governo e le polemiche anche volgari contro i leader europei. Vanno a Parigi per annunciare l’accordo con i golpisti dei Gilet gialli. Ma meno di una settimana dopo si pentono, fino ad arrivare alla possibilità di civettare con Merkel. Non sanno nemmeno loro cosa siano. Non l’hanno mai saputo, imbevuti come sono di idee bislacche. Votare M5s in questa occasione è pericolosissimo. Non è tempo di giocare, e di giocarci il destino dell’Europa per dei ragazzini arrivisti e voltagabbana.
Sulla lista di Sinistra è difficile pronunciarsi, però una recente intervista di un folle come Melenchon e i rivoli di populismo snob penetrati nella nostra sinistra non lasciano tranquilli affatto. I “compagni populisti” ci fanno tornare in mente i “compagni in camicia nera” del tatticismo togliattiano. Vade retro.
Se fosse soltanto un voto per il Parlamento europeo, sarebbe facile votare, basterebbe pensare che fuori dall’Europa l’Italia, che ha quadruplicato dal 1990 ad oggi il suo debito pubblico, sarebbe definitivamente perduta. Pertanto basterebbe depositare il proprio voto contro l’euroscetticismo dichiarato o ondivago.

Oggi in Italia, domani in Europa
Ma non dimentichiamo il valore di sondaggio che hanno queste elezioni europee. Forse l’avete già capito. Personalmente do più importanza alla gravità dei danni che questo voto potrebbe arrecare a nostro paese.
Siamo in un momento tra i più drammatici della nostra storia. L’economia a pezzi e soprattutto una mediocrità della classe politica e dirigente mai vista ci immergono in un paesaggio disastroso e inquinato dalla corruzione ormai irrefrenabile a tutti i livelli e in tutti gli ambienti. Il tutto condito da un’insolente imbecillità, da un’ignoranza e incompetenza sfacciatamente esaltate e purtroppo dimostrate in quasi tutte le occasioni. Ci vogliono occhiali utopici per scorgere un futuro. Ogni paese ha bisogno di un tessuto etico che lo tenga in piedi. Il nostro è stato talmente ben lacerato da Berlusconi per un quarto di secolo che ci vorranno decenni e generazioni nuove per rammendarlo in qualche modo. Se in Europa va battuto il sovranismo, in Italia è essenziale battere la subcultura che ha sdoganato tutto. Salvini ha appreso la lezione di Goebbels che diceva che è facile portare a guinzaglio le masse. Ugualmente qualcuno deve avergli detto che viviamo nella “società dello spettacolo”, soltanto che, essendo un guitto di periferia, può solo portare tutta la società al suo livello. Così siamo alla “società dell’avanspettacolo” in cui un pagliaccio cambia d’abito e di idee continuamente, senza preoccuparsi affatto del ridicolo. Lui si rivolge alla massa stupida che crede che egli sia religioso, invece è solo blasfemo, che sia per il “prima gli italiani”, “prima i foggiani”, “prima i sardi” dopo essere stato per il “prima i padani”. Troppi italiani amano essere presi in giro e pensano che sia davvero il Ministro dell’interno, e invece è il massimo cultore dell’illegalità. In questo è lui il vero erede di Berlusconi. Il ministro assenteista è venerato dagli italiani assenteisti, il capo della Lega Ladrona che nomina senatore e salva il truffatore Bossi non può che essere ammirato dagli italiani che si arrangiano. Il Capo che fa eleggere, impone al Ministero delle Infrastrutture, e poi difende ad oltranza un bancarottiere fraudolento colto con le mani sporche di marmellata vuol solo dimostrare d’essere al di sopra delle legge e della decenza. E che può permetterselo. Tutto sommato, la realtà italiana gli dà ragione. Perché nel caso Siri non mi risulta che qualcuno abbia avuto l’ardire di rivolgergli una semplice domanda: «Ma lei sapeva? E si rende conto che, per il fatto di aver mandato al Senato o addirittura a un Ministero un suo accolito che ha patteggiato per un reato grave, lei dovrebbe sentire il dovere di dimettersi?».
Salvini fascista, poi, fa ridere più di Tognazzi nello stesso ruolo. Può indossare la maglietta dei fascisti di Casa Pound o smuovere quotidianamente la fanghiglia depositata nel fondo di molti italiani per farla risalire in superficie, ma certamente non è Mussolini. È solo un “pagliaccio” pericoloso che alle prese con i problemi seri della politica non è proprio capace di dare altro che parole in libertà e un’incompetenza che terrorizza. Non crede in nulla, ma è disposto a tutto.

I 4 punti: l’ombelico degli oppositori
Preoccupa molto di più, per la tenuta della nostra democrazia, l’insipienza degli oppositori. E qui veniamo al nodo principale di queste elezioni. Ha ragione Renzi quando si vanta d’essere stato lui a imporre la linea al Pd anche in quest’ultimo anno. Il Pd di Zingaretti è un “diversamente renziano” che si fonda su una premessa e quattro punti ripetuti fino alla noia.
PREMESSA. La classe dirigente del Pd non ha la forza né la volontà di analizzare le ragioni del disastro politico degli ultimi anni. Ne consegue che non sono cambiati davvero né dirigenza né costumi né politica delle alleanze. Pur sconfitto pesantemente, il segretario uscente ha imposto da una ribalta televisiva la sua linea e tutti l’hanno accettata integralmente, ponendosi solo il problema di come mascherare il “vecchio” ormai impresentabile con un “nuovo” improvvisato. E per fare questa operazione di maquillage ci ha messo addirittura un anno, mentre nel paese accadeva di tutto. Salvini ringrazia.
I 4 PUNTI. Così ora il “nuovo” ripropone una politica in 4 punti, per me scellerati:
1. Il Pd ha scelto la strategia dello “splendido isolamento”. Nessuna alleanza con nessuna forza politica. Così si prefigura un’uscita dalla politica, motivata dalla favola che il Pd da solo riuscirà a volare dal 20% al 51 per cento. Recuperando il 30% dagli assenteisti passati e da votanti grillini delusi. In quanti secoli? Tra l’altro, proprio l’esperienza degli ultimi mesi dimostra che il forte calo degli elettori grillini non ha portato un solo voto al Pd. Mentre il Nazareno vive di speranza e si concentra sul proprio ombelico, governerà la destra salviniana. Pazienza.
2. Il Pd sarà rigorosamente duale: da una parte la destra renziana che detta la linea (se non riterrà più utile scindersi attratta dallo sfascio berlusconiano e dai miasmi della palude centrista), e dall’altra il recupero delle retorica post-comunista (tornare in periferia, stare più vicini alle gggente, pensare ai lavoratori, antifascismo di parata ecc). Ovviamente solo a parole e senza deludere i residui elettori tutti rinserrati ai Parioli e nei quartieri alti.
3. Zingaretti ripropone la veltroniana “vocazione maggioritaria” del Pd (ridotta a versione “vocazione minoritaria”), che significa la distruzione o l’assorbimento di tutti i possibili alleati, e l’ostinata allergia per la “sinistra plurale”. Vecchia ricorrente malattia infantile di nonno Pci, la quale portò alla liquidazione dell’Ulivo, prima riducendo il pluralismo alla comparsata delle foto di regime con alcuni manichini senza peso né sostanza, e poi scegliendo l’Inciucio (anche questa imitazione nefasta dei soliti compromessi storici, peraltro camuffando Berlusconi e Verdini come se fossero la Dc di Moro).
4. NO a una qualche accordo con il M5s. NO persino a un governo tecnico per curare la nostra economia allo sfascio e per evitare le elezioni. SI’ dichiarato a elezioni politiche anticipate, con il prevedibilissimo risultato: o il Pd da solo (o al massimo con l’aiuto dei quattro voti di “sinistra” di Cirino Pomicino e del 2-3% di +Europa, guidata da Della Vedova, già pannelliano, già eletto nel comico “Parlamento del Nord” leghista, già berlusconiano, già finiano, già montiano, .già renziano, già gentiloniano) passa dal 20% al 51%, o si regala il governo chissà per quanti anni alla coalizione di destra dominata da Salvini. Tertium non datur. Non fare di tutto, ma proprio di tutto, pur di allontanare le elezioni politiche, anzi richiederle, mentre l’avversario, o meglio il nemico, è in pieno fulgore assomma il suicidio proprio e del paese con l’incoscienza più folle.
In questa campagna elettorale molto è usata la suggestione del “voto utile”. Che ha fatto qualche breccia in persone oneste e “disperate” e probabilmente porterà al Pd qualche punto di percentuale. Ma, come si è visto, rafforzare questa politica scellerata votando Pd e quindi questi 4 punti strategici strombazzati da Zingaretti significa davvero esprimere un “voto utile”, ma per Salvini.

L’utilità del voto inutile
Ma allora, seguendo la suggestione del “voto utile” non resta che votare il M5s per rafforzarlo nella alleanza-competizione con Salvini, come sta sostenendo Travaglio? Credo proprio di no. Il M5s, proprio stando al governo, ha dimostrato come la sua sostanza più profonda sia l’opportunismo più disinvolto. Di Maio può sostenere qualunque tesi e cambiarla nella stessa giornata. Può allearsi con l’estrema destra, può utilizzare la renziana riforma tv prima giudicata tirannicida, può avallare qualunque antiparlamentarismo o qualunque rinascita fascistoide, può immergersi senza alcuna vergogna nella demagogia populista più sfacciata proprio perché si fonda sul nulla, sulla teorizzazione che ci si possa presentare come forza politica attendibile sbandierando come valori l’incompetenza, l’assenza d’ogni bussola e una concezione truffaldina della democrazia. I casaleggini sono meno pericolosi dei salviniani soltanto perché sono senza scrupoli e per l’amore del potere facilmente si lasciano utilizzare, persino diventando complici di chiunque e di qualunque nefandezza. Potrebbero diventare subalterni persino a un pd più intelligente. Chi è contrario a questo governo non si illuda che votando il M5s si può raggiungere un rovesciamento dei rapporti di forza tra i due alleati.
Partendo dal presupposto che in queste elezioni europee è assolutamente sbagliata la scelta dell’astensione (che invece si è dimostrata importante in altre occasioni come sottolineatura della mancanza di vere offerte politiche e come gesto di rifiuto verso questo ceto dirigenziale), il “che fare?” è particolarmente difficile.
Sono convinto che non è tempo di “turarsi il naso”, basta col votare il meno peggio perché oggi ciò significa, in Italia, rinunciare forse per sempre a far nidificare classi dirigenti nuove nello schieramento di sinistra. Paradossalmente votare oggi Pd equivale a votare Salvini. Meglio votare formazioni minori, anche se con tutta probabilità non supereranno il quorum per partecipare alla divisione dei seggi nel parlamento europeo, perché invece la somma politica ancor prima che numerica delle loro percentuali potranno dimostrare che il loro è il vero voto utile per rosicchiare la percentuale della Lega e dei populismi vari. In Italia e in Europa.
Forse si è capito già. Anche se con qualche riserva, mi pronuncio per Europa verde e, tracciando la mia croce sulla scheda, più che ad altro penserò al Partito verde europeo, unica speranza per una Europa federalista che sogno da sempre. Le leader verdi in Europa sono antisovraniste, federaliste, ovviamente sollecite davvero all’ambiente, e liberali. Non vi sono altre speranze, se non lì. Anche per nidificare finalmente qualcosa e qualcuno di sinistra e di democrazia liberale. Strada lunga, forse utopica, ma quali sono le alternative?

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