POPPER E L’INTOLLERANZA VERSO GLI INTOLLERANTI

[nella foto:  francesco polacchi, responsabile della casa editrice Altoforte, che espone le sue idee insieme con alcuni intellettuali di Casa Pound]

di enzo palumbo

Mattia Feltri, che è un acuto osservatore delle cose italiane, riferendosi alla vicenda dell’esclusione della casa editrice Altoforte dal Salone di Torino, nel darci il buongiorno su La Stampa dell’11 maggio, ha fatto ricorso al noto paradosso di Popper, per il quale, detto in pillole, se siamo tolleranti cogli intolleranti, l’intolleranza vincerà.

Messa in questi termini semplificati, il ragionamento di Feltri lo porta a concludere che in tal modo finisce per attivarsi quella che chiama “la dinamica dell’intolleranza”, per cui  “se sei intollerante con l’intollerante, a tua volta diventi intollerante e qualcun altro sarà autorizzato all’intolleranza contro di te”.

Per la verità, il paradosso di Popper è un po’ diverso rispetto alla semplificazione che si usa farne, perché non postula, sempre e comunque, l’intolleranza verso gli intolleranti, ma censura soltanto la tolleranza “illimitata”: “La tolleranza illimitata porta alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro gli attacchi degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi.”

E aggiunge: “In questa formulazione, io non implico, per esempio, che si debbano sempre sopprimere le manifestazioni delle filosofie intolleranti; finché possiamo contrastarle con argomentazioni razionali e farle tenere sotto il controllo dell’opinione pubblica, la soppressione sarebbe certamente la meno saggia delle decisioni. Ma dobbiamo proclamare il diritto di sopprimerle, se necessario, anche con la forza; perché può facilmente avvenire che esse non siano disposte a incontrarci a livello dell’argomentazione razionale, ma pretendano ripudiare ogni argomentazione; esse possono vietare ai loro seguaci di prestare ascolto all’argomentazione razionale, perché considerata ingannevole, e invitarli a rispondere agli argomenti con l’uso dei pugni o delle pistole”.

Per altro, ci aveva già  pensato Rawls a restringere ulteriormente il paradosso di Popper limitandolo ai casi in cui l’intollerante sia divenuto un effettivo pericolo per una società tollerante, sia cioè passato dalle parole ai comportamenti, e poi, a seguire, ai fatti, e quindi restringendo in tali ancor più ristretti confini la reazione dei tolleranti, sulla considerazione che “Mentre una setta intollerante in sé non ha il diritto di lamentarsi dell’intolleranza, la sua libertà dovrebbe essere limitata solo quando i tolleranti credano sinceramente e ragionevolmente che la loro sicurezza e quella delle istituzioni della libertà siano in pericolo

E quindi il vero problema è quello del limite oltre il quale non si può accettare supinamente di andare, e questo limite, che è inevitabilmente politico, non è fisso una volta per tutte, ma cambia in relazione alla situazione data, e deve essere tanto più stringente quanto più vasto diventa l’estensione del bacino dell’intolleranza.

Per fare solo un esempio, questo limite, che nei primi anni del primo dopoguerra non era stato toccato, era stato certo superato nel 1922, quando le violenze squadristiche dei fascisti si apprestavano ormai a dare l’arrembaggio allo Stato liberale, e l’indulgenza verso il fascismo da parte delle classi dirigenti liberali e della monarchia, che rifiutò di imporre lo stato di assedio nel momento cruciale della crisi politica, fu certamente colpevole, come poi si è purtroppo dovuto constatare con la privazione della libertà per quei tolleranti che ne avevano permesso la resistibile ascesa, e che se ne accorsero troppo tardi, quando il delitto di lesa democrazia si era ormai compiuto.

Per stare all’attualità, penso che questo limite in Italia non sia stato ancora superato nel rapporto tra i cittadini e la società, comprese le istituzioni della politica, per cui, sotto questo profilo, l’esclusione di Altoforte dal Salone del Libro, dopo che era stata addirittura invitata, ha assunto il significato di una gratuita censura, inutile per la difesa della democrazia ma utile per moltiplicare la diffusione mediatica di una casa editrice sino a ieri del tutto ignota anche agli addetti.

Ma penso anche che il limite è stato certo di già superato nel rapporto tra un cittadino e l’altro, quando ci tocca di constatare che chi esprime civilmente sul web un’opinione, quale che sia, viene subissato dalle contumelie e dai manganelli virtuali di chi ha un’opinione opposta, e che, proprio per questo è giusto che subisca la pronta reazione del destinatario,  per l’occasione divenuto giustamente intollerante attraverso il blocco dei messaggi o, in certi casi, attraverso la segnalazione dell’interlocutore ai gestori dei social media.   

E tuttavia, se una parte della classe dirigente di oggi parla e agisce come a volere soffiare sul fuoco dell’intolleranza, inventandosi un nemico al giorno nel tentativo di  raccogliere qualche voto in più o di perderne qualcuno in meno, allora è possibile che la società italiana si trovi presto a toccare e poi anche superare il limite oltre il quale diventerà necessaria una risposta più efficace di quanto non possa essere la noncuranza a cui i critici di Popper rischiano di portarci.

Quel limite potrebbe essere vicino. Stiamoci attenti !

Un commento su “POPPER E L’INTOLLERANZA VERSO GLI INTOLLERANTI”

  1. Restiamo al tema, se sia ammissibile in uno stato liberale che vengano repressi penalmente manifestazioni di esaltazione del fascismo senza per questo contraddire il principio fondamentale dello stato di diritto, la tolleranza verso le opinioni altrui. La questione mi parrebbe risolta dalla Costituzione e dal legislatore senza scomodare Popper ed i limiti che i tolleranti devono porsi verso le azioni degli intolleranti. Punto. Semmai vi e’ da chiedersi se la legge Scelba sia di facile interpretazione ed attuazione visto e considerato che non si ricordano sentenze di condanna nei confronti di neofascisti per atti di apologia o di scioglimento di organizzazione che si richiamano al fascismo. Vien quasi il dubbio che nel dopoguerra qualcuno non fosse veramente convinto della legge, qualche dirigente ministeriale nostalgico, o abbia trattato il tema con troppa sufficienza.
    Ma la questione vera – che ovviamente in tanti si sono ben guardati dall’esaminare – e’ se associazioni che agiscono su mandato o in collaborazione con enti pubblici possano disapplicare le norme dello stato o far finta che non esistano. In soldoni, l’ente che organizza la fiera del libro puo’ invitare case editrici che sono emanazione diretta di organizzazioni neofasciste? Ma, a prescindere da cio’, questo ente ha dato una scorsa alle pubblicazioni della casa editrice e si e’ posta il problema se queste pubblicazioni non siano esaltazioni di personaggi e fatti del ventennio? Si dira’, non spetta ai singoli farsi giustizia da se’ o far rispettare la legge, spetta a magistratura e forze dell’ordine. Vero, con la precisazione che prima di cio’, nello stato di diritto, e’ dovere del cittadino rispettare la legge assumendo comportamenti che non possano dare adito a corresponsabilita’ e/o complicita’ di sorta. Per meglio intenderci, se un direttore di quotidiano consente ad un proprio giornalista di pubblicare esaltazioni del duce non ne rispondono entrambi? E allora, per evitare chiamate di correo, la prossima volta gli organizzatori della fiera si vadano a leggere le pubblicazioni di questa casa editrice – chesso’ la biografia di Farinacci – prima di accoglierla nel parterre. PS. Per fugare dubbi l’editore si e’ dichiarato orgogliosamente fascista. Dobbiamo discutere oltre scomodando Voltaire ed il trattato sulla tolleranza?

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