Bankitalia, il fiorentino e la sfida sul dossier M5S

di Paolo Ceccarelli

Il vicedirettore Signorini accusato di essere stato «comunista». Gli amici: macché, era liberale

Il vicedirettore di Bankitalia, Luigi Federico Signorini, fiorentino, è accusato dai 5 Stelle di essere stato «comunista». «Macché, da giovane era liberale e occupò il Campanile di Giotto…».

L’11 febbraio non è stato un giorno qualsiasi per Luigi Federico Signorini, vicedirettore della Banca d’Italia, fiorentino. Ieri è scaduto il suo mandato, che il governatore Ignazio Visco e il ministro dell’Economia Giovanni Tria hanno proposto di rinnovare trovando però l’opposizione del Movimento Cinque Stelle. Così ieri Signorini è andato sì a Palazzo Koch come ogni mattina, ma soltanto per finire di recuperare alcune carte e oggetti personali che erano ancora nel suo ufficio. Dopo 37 anni in Bankitalia, non devono essere giornate semplici quelle di Signorini, accusato dai Cinque Stelle — anche in un dossier consegnato ai ministri — non solo di rappresentare la continuità con le passate gestione dell’istituto ma anche di aver avuto un passato da «comunista» e in tempi più recenti di aver nutrito simpatie per Renzi.

E però neanche l’11 febbraio 1972 fu un giorno facile per lui. Il futuro dirigente di Bankitalia, allora 17enne, salì sul Campanile di Giotto insieme ad altri cinque giovani e lo occupò, srotolando lo striscione «No al Concordato». «Era l’anniversario della firma dei Patti Lateranensi e noi eravamo un gruppo di iscritti al Partito Liberale — racconta il costituzionalista Carlo Fusaro, professore dell’Università di Firenze — Aspettammo l’uscita dell’ultimo turista e poi tirammo fuori lo striscione. La foto finì sulla prima pagina del Corriere della Sera». E loro, i sei militanti liberali, furono fermati dalle forze dell’ordine per «occupazione abusiva di luogo pubblico e esposizione di striscione non autorizzato», come raccontano Marisa Brambilla e Gianni Fantoni nel libro Firenze e oltre. I liberali fiorentini negli anni Settanta.

«Signorini comunista? È una panzana talmente grossa che è difficile persino smentirla», scoppia a ridere Francesco Colonna, giornalista ed ex militante del Partito repubblicano, la forza politica a cui il vicedirettore uscente di Bankitalia approdò a metà anni 70 dopo aver lasciato il Pli. «Signorini allora era un liberale di sinistra, lontanissimo da simpatie non dico comuniste ma perfino socialiste».

Fin qui il passato, ma le presunte simpatie renziane? Una volta entrato in Bankitalia, nel 1982, Signorini lasciò l’attività politica, come richiede un istituto che ha nel primo articolo del suo statuto il richiamo alla «autonomia e indipendenza». Ma l’origine fiorentina di Signorini e il fatto che Renzi probabilmente lo abbia conosciuto ben prima di arrivare a Palazzo Chigi nel 2014, hanno messo in allarme i Cinque Stelle. Dei rapporti tra i due in realtà non si ma molto, forse anche per la riservatezza iperistituzionale con cui Signorini si muove anche fuori da Bankitalia, quando torna nella sua casa sulle colline di Grassina. Ma i suoi amici fiorentini non li descrivono come molto positivi.

«Federico non lo dirà mai pubblicamente, ma ha avuto un giudizio piuttosto severo su Renzi premier», racconta uno di loro in via riservata. «Del resto diciamoci la verità: per ruolo e per temperamento Signorini è un rompicoglioni, non fa sconti né piaceri a nessuno. Non ci crede? Vada a rileggersi le cronache delle sue audizioni nelle commissioni parlamentari quando c’era Renzi premier», racconta un altro vecchio compagno di lotte fiorentino. E in effetti, senza neanche scomodare gli scontri tra Renzi e il governatore Visco, basta una ricerca su Google per trovare un po’ di materiale.

Ottobre 2014, onda del renzismo altissima (a maggio il Pd aveva preso il 40% alle Europee). Signorini viene ascoltato dalla commissione Bilancio della Camera sul Documento di economia e finanza del governo Renzi e al termine non spande ottimismo: «I rischi al ribasso ci sono, riguardano l’andamento della politica internazionale e naturalmente anche i fattori interni, in particolare che ci sia un sollecito punto di svolta negli investimenti privati e che si risolva il problema della debolezza del mercato immobiliare e del mercato del lavoro». Un anno più tardi, Signorini sarà ben più duro, invitando di fatto il governo Renzi a usare il «tesoretto» ottenuto dal pagamento di minori interessi sul debito pubblico per rimettere in ordine i conti dello Stato e non per aumentare la spesa, come invece prospettato dal Def.

Sì, ma di tutto questo cosa dice Signorini? «No comment, come sempre — dicono gli amici — Però l’accusa di essere stato comunista gli ha strappato un sorriso».

dal Corriere Fiorentino, 12 Feb 2019

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