LE REGIONALI IN ABRUZZO

di riccardo mastrorillo

Le elezioni regionali in Abruzzo hanno dato un segnale importante, a meno di un anno dalle ultime politiche e qualche mese prima delle imminenti elezioni europee. Certo va detto con chiarezza che, trattandosi di elezioni regionali, l’incidenza delle tematiche locali, non ci consente di poter trarre delle conclusioni che hanno un valore nazionale. Ma i temi della campagna elettorale, soprattutto negli interventi dei leader nazionali, sono stati spiccatamente generali.

 

 

Ha vinto il Candidato della Destra, non è la prima volta che un esponente della destra nazionale (MSI-AN-FdI) diventa presidente di Regione, il Lazio ha vissuto già questa esperienza. La coalizione di destra vince con nettezza, benché, rispetto alle elezioni politiche del marzo scorso incrementa i voti assoluti solo di 29780. All’interno della coalizione, come prevedibile, la Lega raddoppia la percentuale dei consensi, recuperando così la debacle di Forza Italia.

A sinistra la coalizione larga, voluta dal candidato Presidente Legnini, seppur dimostra di incrementare voti e percentuale delle politiche si ferma al 30%.

Il movimento cinque stelle è il vero sconfitto di questa tornata elettorale, perde 185.000 voti rispetto alle politiche e oltre 20.000 rispetto alle precedenti regionali.

Secondo le analisi sui flussi elettorali dell’Istituto Cattaneo, seppur limitate ai due comuni più popolosi, riferita alle politiche rispetto alle regionali di domenica scorsa, il voto in uscita dal movimento 5 stelle è andato più verso il centro destra che verso l’astensionismo, quello di Forza Italia è andato prevalentemente verso il non voto, mentre il Pd ha avuto una erosione bassissima e soprattutto sembrerebbe essersi arrestato il flusso, fino ad oggi significativo verso il movimento 5 stelle.

Politicamente l’analisi del voto ci consegna un quadro tendenziale dove il centrosinistra, così com’è, anche nella sua dimensione allargatissima (non c’era nessuna lista di sinistra presente fuori dalla coalizione per Legnini) si è comunque arrestato a poco più del 30%. E’ quindi evidente che esiste una difficoltà oggettiva per il centro sinistra di essere in grado di tornare maggioranza. Applicando questo schema, per quanto possibile, a tutta Italia, il rischio reale è che in tutte le Regioni la probabilità di una vittoria della destra, rafforzata dal flusso elettorale dai cinque stelle alla Lega, diventa una possibilità concreta. Vedremo nei prossimi giorni cosa succederà in Sardegna, ma è evidente che, in assenza di una seria rivoluzione a sinistra, nei prossimi mesi e alle prossime elezioni Europee la vittoria di una destra, ormai non più prevalentemente moderata, sembra essere scontata.

Il Pd dovrebbe anche riflettere sulla sua inamovibile pregiudiziale nei confronti del movimento 5 stelle, la cui emorragia verso la destra, costituisce sostanzialmente un indebolimento elettorale significativo della sinistra nel paese, fin quando una percentuale che oscilla tra il %15 e il 25% di elettori potenzialmente di sinistra continueranno a votare 5 stelle, non sarà possibile ottenere una maggioranza di sinistra, a meno che il Pd non cambi posizione sulla pregiudiziale.

Il Candidato a presidente del centro sinistra ha dimostrato di aver compreso la gravità della situazione, evitando il più possibile, in campagna elettorale, di dare la percezione di essere del Pd, il quale è stato molto defilato, ma non basta utilizzare il metodo del comico Crozza, che ha accomunato il Pd all’olio di palma: “basta dire che non c’è e la gente riprende ad acquistare il prodotto…” E’ necessario fare uno sforzo di responsabilità verso il paese, o dare una sterzata di discontinuità vera e profonda dentro al Pd, se si è ancora in tempo, ovvero prendere atto del fallimento della formula del centrosinistra, così come la si è fin qui rappresentata e, magari anche del Partito democratico stesso.

Nello schema sopra riportato, riteniamo interessante ragionare sulle percentuali riferite non ai voti espressi, ma ai votanti, che per una serie di motivi legati principalmente ai residenti all’Estero, alle Politiche sono significativamente meno che alle Regionali. Il centro destra perde, nel rapporto tra voti e votanti complessivamente quasi il 5%, mentre il centro sinistra ne guadagna tra il 4% e il 25% (la differenza è data dal fatto che alle politiche una parte della sinistra era fuori dalla coalizione a guida Pd e che una lista locale alle precedenti elezioni era schierata con il centrodestra) Il movimento 5 stelle perde quasi il 70% dei voti.

Per cui, possiamo dire con una certa sicurezza che senza il travaso di voti dai 5 stelle alla Lega, il centro destra avrebbe risentito di una flessione significativa rispetto alle elezioni politiche, e che comunque in senso assoluto la fiducia degli abruzzesi nel centro destra è diminuita di poco da marzo scorso ad oggi.

Un commento su “LE REGIONALI IN ABRUZZO”

  1. Ho parecchi dubbi sul fatto che l’elettorato dei 5S sia catalogabile fra quelli “di sinistra”. Proprio perche’ sappiamo quanto sia variegato il quadro dei partiti di sinistra partirei da un altro presupposto, e cioe’ che l’elettorato 5S esprime un diffuso malcontento di diversi ceti, dalla borghesia produttiva (impiegatizia, operaia, professionale) ai giovani disillusi dalle ideologie del passato, a persone che – come me – hanno votato “contro” un pd divenuto una nuova democrazia cristiana senza pero’ disporre di quella classe dirigente formatasi nel dopoguerra in una scuola di gente responsabile. Se partiamo da qua viene scontato prevedere che il movimento sia destinato a sgonfiarsi – non e’ dato sapere in che tempi – in relazione alla cattiva prova fornita dal governo gialloverde ed in linea coi sondaggi che rilevano un costante calo di preferenze per i 5S da maggio scorso a questa parte. Il risultato del pd e’ sempre sconfortante, ma non potrebbe essere diversamente visto lo stallo della sua dirigenza; quello di forza italia e’ declinante, in parallelo al declino fisico e psichico del suo leader. Anche se potra’ dispiacere ai piu’ il vero vincitore e’ sempre il solito Salvini cui non pare vero che tutti gli altri politici gli abbiano lasciato il campo libero sul tema immigrazione e sicurezza. Certo, se il Pd avesse sostenuto Minniti e non Del Rio, se qualcuno nel mondo del giornalismo avesse preso atto del problema senza accusare l’elettorato di votare con la pancia in preda alla paura, se nella sinistra anziche’ seguire papa Francesco ed il suo gesuitismo si fossero ascoltate le periferie dimenticate, i pensionati, i lavoratori monoreddito, Salvini non avrebbe sfondato e non parrebbe ora il salvatore dei confini nazionali. Quando non si vuol capire i timori dell’elettorato, o peggio si preferisce sottovalutarli volutamente ed anche con sufficienza, si corre il rischio di essere travolti dal primo populista e demagogo che passa. Bravo lui a capirlo, molto meno bravi i docenti dell’accoglienza tout court.

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