ricordo di un amico scomparso – paolo bonetti, ricerca scientifica e ipocrisia morale

[Nella foto: Paolo Bonetti – qui a sinistra – insieme con Beatrice Rangoni Machiavelli e Valerio Zanone]

Improvvisamente è deceduto il professor Paolo Bonetti. E’ stato per decenni collaboratore di “Critica liberale” e di “Italia laica”. Ci mancheranno i suoi saggi consigli, le aspre discussioni, le polemiche con l’Italia che entrambi disprezzavamo. Nato sulle pagine del “Mondo” pannunziano, presto collaborò col partito repubblicano. Ma sempre rimase assolutamente autonomo e si dedicò agli studi proprio di quel “terreno” misconosciuto che più amiamo. Il suo libro sul “Mondo” è imprescindibile per chi voglia capire davvero il liberalismo novecentesco e i suoi scritti su Croce sono di riferimento. Erano anni che ci raccontava passo passo le sue ricerche  e i suoi pellegrinaggi a Napoli a casa Croce, lavorando a una monumentale biografia di don Benedetto. E’ un vero peccato per la comunità scientifica che il destino gli abbia negato la possibilità di concludere questo suo lavoro. Ed è una perdita enorme per tutta la cultura liberale. Ho avuto  periodicamente contrasti con lui per motivi politici, ma i liberali, si sa, amano le discussioni anche aspre. Anch’egli era appassionato alle sue idee e alle sue scelte. Mi mancheranno i suoi rapidi allontanamenti e i suoi altrettanto rapidi riavvicinamenti.

Non poteva che essere così: al fondo ci univano due convinzioni profonde. la prima era il laicismo (lui, il laicismo lo praticava) , Costante e severissima era la critica del clericalismo e altrettanto lo era la battaglia a favore delle minoranze, non solo politiche.

La seconda era il liberalismo (lui, il liberalismo lo praticava). Non ha mai fatto mancare la polemica asperrima  contro quelli che entrambi denominavamo i “liberaloidi”, ovvero quelli che, contro ogni evidenza,  facevano finta di credere che l’èra berlusconiana fosse l’èra della “rivoluzione liberale”. Fu antiberlusconiano di ferro, Mai un dubbio. Fu con noi in “Opposizione civile” e in tutte le battaglie fallite ma doverose che intraprendemmo. Dal “Mondo” di Pannunzio  ad oggi molta acqua è passata sotto i ponti. A dire il vero, ora scorre solo fanghiglia. Il destino gli risparmia di assistere  alle difficoltà sempre maggiori  che affliggono “l’altra Italia”, ovvero quel mondo laico e civile battuto  prima da decenni di cattocomunismo e ora dal fascio-populismo. Dovremo invidiarlo?

Ps.: Ci piace ripubblicare qui un suo articolo, che è un esempio della sua logica stringente e della sua attenzione per i problemi del futuro.

società aperta,

ricerca scientifica e ipocrisia morale

 paolo bonetti

Quando – sono ormai passati parecchi anni- si cominciò a parlare, anche a livello della più vasta opinione pubblica, della ricerca sulle cellule staminali embrionali e sulle grandi prospettive che questa ricerca apriva per la cura di malattie altrimenti incurabili, ci fu, anche da parte di molti uomini di scienza, un eccessivo ottimismo circa l’immediatezza dei risultati che si sarebbero potuti raggiungere. Tuttavia la strada di una ricerca seria e con solide fondamenta scientifiche era ormai aperta e sarebbe proseguita nei laboratori di tutto il mondo. Contemporaneamente si sviluppò anche la discussione sulla liceità morale di questa ricerca. A coloro che negavano che si potesse considerare persona un embrione di poche cellule, senza che si fossero ancora formate quelle strutture cerebrali che rendono possibile una qualsiasi forma di vita psichica, si contrapposero subito e con particolare animosità coloro (prevalentemente cattolici, ma non soltanto) che vedono nell’embrione, già allo stadio di prima cellula (lo zigote), non solo una potenzialità di vita, ma un individuo a cui va riconosciuta una piena dignità morale e che, come tale, non può essere in alcun modo manipolato, neppure a fin di bene.

In Italia arrivò poi la famosa o famigerata legge 40 che vieta di utilizzare gli embrioni per la ricerca scientifica. La legge in questione è stata in seguito sistematicamente demolita da successive sentenze della Corte costituzionale (che ha, fra l’altro, eliminato il divieto di produzione e di crioconservazione di più di tre embrioni e l’obbligo di impianto di tutti gli embrioni prodotti), mentre è rimasto il divieto della loro utilizzazione per la ricerca. Recentemente, come molti sanno, la Corte europea di Strasburgo ha respinto il ricorso di una donna italiana che voleva donare alla ricerca scientifica embrioni suoi e del compagno morto nella strage di Nassiriya. La Corte ha dichiarato che il divieto della legge italiana di utilizzare gli embrioni per la ricerca non viola i diritti umani, in particolare quello della donna di poter liberamente disporre degli embrioni da essa generati. L’embrione non può essere considerato proprietà esclusiva della genitrice, che vorrebbe disporne senza naturalmente poter consultare la volontà del compagno defunto.

Il punto della questione che qui mi interessa sottolineare è però un altro e ne ha anche parlato autorevolmente su “Repubblica” la biologa e senatrice a vita Elena Cattaneo. Secondo la tesi di coloro che si oppongono alla sperimentazione sulle cellule staminali embrionali, si tratterebbe di un’operazione non solo moralmente riprovevole, ma anche inutile sul piano scientifico, perché sarebbe ormai molto più fruttuosa la sperimentazione sulle cellule staminali adulte, ricondotte allo stato iniziale e fatte ripartire. Ma la Cattaneo ha mostrato come, in realtà, la ricerca sulle staminali continui in tutti i laboratori del mondo, con prospettive di grande interesse per la cura di patologie altrimenti inattaccabili, come quelle delle malattie neurodegenerative. Ma c’è di più: questa ricerca continua anche in Italia con cellule staminali embrionali acquistate all’estero. E qui l’ipocrisia della legge e del costume italiano diventa perfino grottesca, perché tutti i ricercatori sono ben consapevoli che queste cellule provengono da embrioni. Ma tutti, anche i sostenitori della legge 40 che vieta la sperimentazione, fanno finta di nulla e magari affermano che questa pratica nel nostro paese non c’è. Insomma siamo sempre, bisogna pur dirlo, all’interno di quella vecchia morale cattolica per cui le cose esistono soltanto se vengono nominate. Ma se tutti tacciono, se non si dà pubblico scandalo, allora si può continuare a procedere in una condizione di furbesca doppia morale. Se ci riflettete è come nel casi dell’aborto e dell’eutanasia. Tutti sanno che continuano ad esserci gli aborti clandestini, anche perché la legge non viene fatta funzionare mediante un obiezione di coscienza spesso in malafede, ma l’essenziale è che questa falsa obiezione venga fatta valere sulla pelle delle donne, anche a costo di costringerle nuovamente alla clandestinità.

        Anche nel caso dell’eutanasia, che viene respinta con orrore da tutti gli ecclesiastici e da molti medici, tutti sanno che, nei nostri ospedali, viene spesso praticata da medici pietosi con il consenso dei familiari del malato. Ma questo non si deve dire, non si deve rivendicare come un diritto che spetta alla generalità dei cittadini; se c’è qualcuno, come Beppino Englaro, che si sottrae all’ipocrisia ufficiale e osa rivendicare apertamente questo diritto, ecco che si scatena contro di lui l’ira dei farisei. Si fa ma non si dice, questa è l’etica prevalente nella società italiana, un’etica che incancrenisce i problemi e sembra avere lo scopo di incrementare le sofferenze umane, non di ridurle. Intanto, migliaia di embrioni che non saranno mai impiantati in un utero e che neppure potranno essere utilizzati a scopo terapeutico, giacciono nei frigoriferi in attesa del nulla.

Criticaliberalepuntoit n. 29 del 07 settembre 2015

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