IL NAUFRAGIO

Ci annoia ripeterci. Però lo scrivemmo subito. L’analisi era fin troppo facile. Quando Renzi fu  travolto dal risultato del referendum costituzionale anche i degenti in un ospedale psichiatrico avrebbero capito che la tempesta non era sostenibile, non perché fosse particolarmente violenta ma perché il capitano della nave era assolutamente un incapace. Aveva perso tempo a fare l’Inchino a Berlusconi senza accorgersi che lo scoglio era penetrato nella chiglia. Se ci fosse stato ancora qualche dubbio, questo avrebbe dovuto essere fugato dall’arrogante presunzione dimostrata dal nuovo Schettino subito dopo l’esito referendario. In quell’occasione Renzi riecheggiò i commenti che i radicali erano soliti fare dopo le raffiche di sconfitte dei loro referendum: “sì, è vero, in questo referendum il no ha perduto 80 a 20, ma questo vuol dire che il partito radicale ha la forza del 20%”. Ugualmente Renzi si accreditò il 40 % degli italiani, come se fosse tutto suo. Dopotutto nelle elezioni europee proprio il 40% era stata la cifra del suo successo, quando gli italiani non lo conoscevano. Dopo il referendum le sconfitte non si sono contate più, ma sono state sempre sottovalutate.

Fino a poche ore fa. Quando il buon Orfini, simbolo vivente della mediocrità dem, compie una svolta storica e, invece di ritirarsi in convento a giocare ai videogiochi, dichiara che è “andata male”. Ebbene sì, è andata male. Il Pd non esiste più, neppure nella vecchia cassaforte del Pci.

Certo la responsabilità, direi la colpa, è di Renzi. Negli ultimi giorni ha imperversato in Tv per ricordare agli elettori che Lui c’è ancora, e gli elettori se lo sono rammentato e hanno votato altro. Ma la colpa non è solo di Renzi. Lui è fatto così, se di politica non capisce nulla non ci può fare niente, se è stato il primo a portare una pesante dote di ignoranza su tutti i problemi italiani la responsabilità non è sua ma di chi si innamorò della sua arroganza. Però ciò che negli ultimi mesi ha fatto ancora più impressione e danni non è stata la sua presenza bensì la sparizione “politica” dell’intero Pd. Di fronte agli episodi elettorali più catastrofici il corpaccione del Pd è stato assolutamente incapace di reagire. Possiamo arrischiare a dire che la responsabilità maggiore della morte del Pd è dell’intera sua classe dirigente, persino dei suoi militanti che non sono andati ad occupare  il Nazareno. Come estremo gesto, e disperato, di volontà di sopravvivere.

Dopo il referendum coloro che ogni tanto sospirano sulla “crisi” del partito hanno votato di nuovo per Renzi, persino il malpancista a posteriori Veltroni. Scalfari ha continuato a lodarlo fino all’altro ieri. Tutti i dirigenti hanno pensato che era meglio rifugiarsi nella scialuppa dell’ambiguità e dei malumori. Speravano di salvarsi. In un qualunque partito della prima repubblica si sarebbe aggregato immediatamente un raggruppamento (che fosse minoritario avrebbe avuto limitata importanza) di quanti rigettavano le politiche del Segretario. Avrebbero motivato le loro critiche. Avrebbero presentato una mozione politica nettamente alternativa. I dirigenti del Pd avrebbero dovuto seguire le vie della politica, invece di mugugnare. Avrebbero probabilmente perduto, ma avrebbero mostrato al paese che il loro partito non si identificava totalmente col segretario. Avrebbero così fornito agli elettori e ai militanti critici una sponda, una giustificazione psicologica e soprattutto l’idea di un partito pluralistico. Invece, persino dopo le elezioni politiche , quando il battello imbarcava acqua a più non posso, i dirigenti del Pd si sono fatti dettare la linea (viene quasi da ridere) non dai dibattiti di direzione ma dalle comparsate televisive di Renzi. La loro ignavia è stata colpevole, ma forse non poteva che essere così. La loro cultura viene da lontano, li nutre e li avvelena: non è solo viltà lo loro, ma riflesso ormai marcio di un rifiuto a priori del valore del conflitto. E, se non è possibile il “compromesso”, si abbassa la testa davanti alla catastrofe.

Ora è chiaro a tutti che siamo testimoni non di un suicidio di un presuntuoso provinciale inconsapevole della propria mediocrità, ma di un vero suicidio di massa. Dopo quaranta anni precisi il Pd tutto ha voluto rievocare e ripetere quello che accadde in Guyana, a Jonestown. Anche lì, anche allora, si compì un impressionante “suicidio di massa” mentre i morituri inneggiavano alla “gloria del socialismo”.

 

Un commento su “IL NAUFRAGIO”

  1. Che dire, Enzo, di fronte alla tua analisi precisa e non malevola di quanto è successo? Per un paio di politici pensanti, anche se difficilmente in grado di ricostruire una identità che sia politica e – perché no -ideale di una sinistra che vaga cieca e senza casa, c’è una classe dirigente allo sbando, che cerca di attaccarsi al primo salvagente che trova, senza capire ( ancora!) che questa è una tempesta perfetta. Attuare tattiche di partito quando non c’è più un partito è penoso, ma questi dirigenti non vedono i topi che lasciano la nave. Per salvarci da un suicidio di massa credo che resti solo una dimissione di massa di tutta la direzione; la riammissione solo di chi sappia elaborare, per il paese, un programma a lungo termine che consideri bisogni reali e ragioni ideali ; il giudizio di un congresso che sia una assemblea costituente di un nuovo movimento, a cui possano partecipare come alle primarie tutti gli uomini di buona volontà. Contro una involuzione pericolosa della democrazia e sopratutto dello stato di diritto

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