Prima i diritti – intervista a Franco Grillini

di elena tebano (corriere della sera)

Da oggi Franco Grillini entra a far parte del Comitato di presidenza della Fondazione Critica liberale. Siamo ben lieti di accogliere tra di noi chi da decenni combatte per la laicità, per i diritti umani e soprattutto contro ogni forma di discriminazione. la sua è una figura esemplare di combattente per la libertà degli individui e delle minoranze.
Pubblichiamo una sua intervista al “Corriere della sera” del 10 febbraio 2018

Franco Grillini: «Prima i diritti, ora il tumore: io lotto. Sono più rivoluzionario di Marx»

Il leader di Arcigay: «Quando abbiamo cambiato di notte la stepchild adoption».

Il mieloma Ho preso un medicinale sperimentale, con la dicitura «per motivi compassionevoli»

Quando apre la porta del suo appartamento nel centro di Bologna, tre stanze ingombre di oggetti e ricordi nel palazzo in cui abita da quarant’anni, Franco Grillini, 62 anni, bolognese, presidente onorario di Arcigay, direttore di Gaynews.it, ex deputato (con i Ds nel 2001 e l’Ulivo nel 2006) e memoria storica del movimento lgbt in Italia, ha il passo incerto e il volto smagrito dalla malattia. «Mieloma multiplo, un tumore del midollo osseo, lo sorvegliavo dal 2007 — spiega —. Nel 2016 ho iniziato le cure che però mi hanno stroncato. Ho dovuto prendere un medicinale sperimentale, con una dicitura del Comitato etico dell’ospedale che mi autorizzava “per motivi compassionevoli”. Della serie: più male di così non può fargli».

Adesso come sta? 
«È stata una guerra: mesi e mesi di chemio in cui ero più di là che di qua. Ma mi sono detto: non è tempo di morire. Per ora ci siamo salvati. E non ho intenzione di nascondermi: ho vissuto l’epoca dell’Aids, quando la malattia era ritenuta una colpa e del mieloma parlo ai quattro venti.

Siamo in campagna elettorale, non le manca? 
«Non sono più di nessun partito. Ho dato 23 anni della mia vita alle istituzioni, mi sembrano abbastanza.

Quando ha iniziato a far politica?
«Alle superiori, con il Pdup nell’estrema sinistra. Venivo da una famiglia poverissima: padre manovale, madre operaia, in casa parlavamo solo dialetto bolognese. Nei primi mesi di elementari ho dovuto imparare una lingua straniera che era l’italiano. Nel libretto di terza media mi scrissero: si sconsiglia vivamente la prosecuzione degli studi. Fu la professoressa delle superiori, con cui siamo rimasti amici, a farmi appassionare allo studio e ai classici del marxismo».

È ancora marxista? 
«Oggi mi definisco un liberale di sinistra. Per altro Marx ed Engels erano un po’ omofobi. C’è una lettera in cui Engels scrive a Marx commentando i primi movimenti lgbt in Germania e dice: se  vincono dovremo andare in giro con le mutande di latta…».

Come è arrivato all’attivismo gay? 
«È stato un modo per accettare la mia omosessualità».

È stato difficile?
«Molto. Avevo 6 anni quando mio padre, per prevenire certe “deviazioni”, mi portò al mercato di Bologna a vedere un banchetto gestito da due donne trans . Mi disse in dialetto: “Guarda mo’ du’ buson”.  Mi sembrò una scena da zoo: per anni ho interiorizzato quel divieto. Ma quando quello che sentivo è diventato così forte che faticavo a gestirlo, ho deciso che potevo trasformarlo in una cosa politica.

Si presentò al Cassero, la futura sede di Arcigay…
«Mi accolsero dicendo: ce ne hai messo di tempo! Noi lo sapevamo già!». «Mancavano 20 giorni all’inaugurazione, per la prima volta in Italia un Comune dava uno spazio pubblico a un’associazione gay.  Mi fecero scrivere il volantino: ci misi 5 minuti. I problemi arrivarono con la foto».

Che problemi?
«Avevo scelto quella di due ragazzi abbracciati. Fino ad allora l’idea nel movimento gay era che più facevi sesso più eri rivoluzionario. Io mi opposi: “Si è esaurita la fase propulsiva della scop… ora tocca alla rivoluzione dei sentimenti”. Mi accusarono di riproporre la famiglia borghese. Le decisioni andavano prese all’unanimità: rimasi fino alle 5 del mattino, finché i contrari non se ne andarono. Passò il mio manifesto.

A proposito di sentimenti: chi ha amato? 
«Massimo, Vanni, Andrea, Giancarlo, Henry, Valerio. E Antonio».

Il suo attuale compagno?
«Sì, anche se adesso ci vediamo poco: sta al Sud e i genitori, integralisti cattolici, gli hanno vietato di raggiungermi finché non si laurea. Ha 33 anni meno di me, oltre al tabù dell’omosessualità c’è quello dell’età».

Cos’è cambiato per un ragazzo che si scopre gay oggi? 
«Tutto».

Una volta significava spesso solo frequentare i cosiddetti “battuage”, luoghi appartati di incontri anonimi… 
«Io l’ho fatto poco,  perché non mi piaceva la modalità, e poi perché ci vedo male e prendevo delle cantonate! Arrivavo a mezzo metro e mi accorgevo che quello che avevo di fronte proprio non era il mio tipo… Preferivo il fermo posta».

Il fermo posta?
«Sì: mettevi un annuncio con il numero della carta d’identità sul giornale, poi aspettavi una settimana. Loro rispondevano: vorrei incontrarti, ci vediamo giovedì sotto le Due Torri. Funzionava!».

È stato il primo gay dichiarato eletto in Parlamento… 
«Il primo a metterci piede, nel 2001 insieme a Titti De Simone di Arcilesbica. Negli anni 70 era stato eletto con i radicali Angelo Pezzana, del “Fuori!”, il Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano, ma si è dimesso subito perché nel partito facevano a rotazione».

Di certo  ha presentato più di una proposta di legge per riconoscere le unioni gay.
«Prima di tutte una sul matrimonio, nel 2002. Non me la firmava nessuno; allora presentai quella sui pacs, che ne raccolse 170 e fu un elemento di rottura. L’ idea era trovare un consenso ampio su una legge che riconoscesse i diritti delle coppie per poi arrivare al matrimonio».

Sono passati oltre dieci anni e siamo ancora lì.
«La Cirinnà  è di fatto un matrimonio. C’è pure l’adozione dei figli del partner».

Non proprio uguale…. E la stepchild adoption non era stata tolta affinché la votasse il partito di Alfano?
«Quando il governo Renzi ha posto la fiducia è stato chiamato a Roma un tecnico, un magistrato bolognese, per riformulare la legge in fretta e furia nella notte. Ha scritto l’articolo sulle adozioni in modo da soddisfare Alfano perché non c’era più la stepchild adoption, ma dando ai magistrati la possibilità di concederla ogni volta».

Non le è mai scocciato fare il gay di professione? 
«No, l’ho fatto orgogliosamente: visto che qualcuno ci deve rappresentare, è necessario che sia al meglio. Per 25 anni sono stato un sacerdote della politica. Qualche fidanzato me l’ha anche rimproverato: il tuo vero amore è Arcigay. Ma le rivoluzioni si fan così: tenacemente, senza demordere. E noi, a differenza dei marxisti, la rivoluzione l’abbiamo fatta: una rivoluzione gentile».

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